In Europa, dopo
l'onda romantica dalle idee astratte e irreali del XIX secolo, ci
si avviò alla cultura del 'Realismo', ma che in Italia si manifestò
nella più cruda epressione di 'Verismo', dove si faceva più attenzione
ai fatti e alle vicende quotidiane, facendo emergere i temi della
gente comune.
In Italia, in mancanza di una unificazione politica e linguistica,
c'era una grande differenza culturale, specialmente per le condizioni
sociali nel mezzogiorno d'Italia. Mentre nel popolo la musica si
manifestava con canti di lavoro e fatica, nell' ambito nobiliare
e borghese acculturato, ci si agiava con le Arie di Opere. La Romanza
da salotto fu un modo di far musica a modico prezzo, come l'aristocratico
Concerto di casa. Studiare il pianoforte, il violino, il canto era
abituale per i giovani di buona famiglia.
Per questo mondo agiato, i compositori ( Francesco Paolo Tosti,
Luigi Denza, Ruggero Leoncavallo, Mario Pasquale Costa, Martino
Stanislao Luigi Castaldon, Augusto Rotoli, . . .), agevolati nel
guadagno dalla nuova legge sui diritti d'autore, si riversarono
a migliaia nella composizione delle 'Romanze'. Gli autori
delle Romanze da salotto semplificavano le melodie in modo che non
mettessero in soggezione le risorse dei cantanti dilettanti, ma
allo stesso tempo desse una sensazione di vocalità raffinata
per tenori e soprano, mezzosoprani e baritono. Il gioco incoraggiava
il dilettantismo e gli editori divulgavano trascrizioni musicali
per canto e pianoforte, ma anche per mandolino e violino. I testi
letterari, colti, una sorte di Ars Amatoria, fungevano da messaggi
e contromessaggi d'amore. Narravano l'iter di una passione amorosa
dalla A alla zeta: Dichiarazione, Corteggiamento, Serenata, Mattinata,
Profferte amorose.
Tale grande mole di produzione musicale invase tutta l'Europa, specialmente
la Francia, e questa musica, e l'atmosfera di felice e gaia energia
che la circondava, venne chiamata "Belle èpoque".
Dalla fine dell'Impero Romano, non c'era stata più pace in Europa.
Millequattrocento anni di conflitti grandi e piccoli erano stati
intervallati da brevi anni di pace. Ora invece, dopo la guerra Franco-Prussiana,
nel 1871, le nazioni non fecero più ricorso alle armi, almeno qui
nel continente. Nel periodo dal 1870 al 1914 ci furono quarant'anni
importanti per l'arte, la scienza e lo sviluppo della società. Ci
si era ingenuamente convinti di aver imparato dagli errori passati,
ma col naufragio del Titanic e lo scoppio della prima guerra mondiale
ci si ritrovò nella più cruda realtà umana, e quest'epoca d'oro
sbiadì nei ricordi.
La Belle èpoque è stata un' epoca di importanti invenzioni e sviluppo
tecnologico: Le prime automobile, il fischio dei treni, il cinema,
l'illuminazione elettrica, la radio, il vaccino per la tubercolosi,
i raggi X, il primo aereo, la costruzione della Torre Eiffel per
l'esposizione universale. Un'epoca di ottimismo, di grandi conquiste
in tutti gli ambiti del sapere, di invenzioni rivoluzionarie e rapidi
cambiamenti. Furono le basi del mondo contemporaneo, della civiltà
industriale e urbanizzata del Novecento.
Fu in Francia che la musica trovò ambiente adatto per uscire dai
teatri e dai salotti per divulgarsi nei Cabaret come il "Folies
Bèrgeres" o il "Moulin Rouge", dove riecheggiava il Can-Can. E gli
artisti si incontravano attorno ai locali di Montmartre.
Ma l'ebbrezza della Belle Époque era accessibile solo ai nuovi signori
del capitalismo rampante che costruivano le proprie grandi fortune,
mentre i molti, chiusi nelle fabbriche anche quattordici ore al
giorno, cominciavano a conoscere parole nuove come lotta, rivoluzione,
diritti, socialismo.
La guerra del '15-'18 interruppe la velleità borghese e furono canti
di guerra e conquiste.
La guerra del '15-'18 interruppe la velleità borghese e furono
canti di guerra e conquiste: 'Tripoli bel suol d'amore' e 'Piave'.
Nonostante l'asprezza dei tempi c'era la determinazione a dimenticare,
c'era l'intenzione di riassumere tutto il dramma e la gioia della
vita in una storia d'amore consumata tra le pareti vellutate del
locale notturno. Nei 'Tabarin' nei 'Café Chantant' furono macchiettisti
e fini dicitori che espressero l'atteggiamento dannunziano del coraggio,
dell'amore tempestoso, delle passioni, del vitalismo. La nuova borghesia
senza blasoni, irrequieta e vogliosa di vivere, guardava al disopra
del proprio ceto e delle proprie reali possibilità . Questi nuovi
ricchi trasformavano in spettacolo di massa il Tabarin.
L'immagine sognata della donna era ricca di mistero e di tragedia,
di voluttà e di peccato; così si creò il divismo attorno a
cantanti come Gino Franzi e Anna Fougez. Di fronte a un tale pubblico
l'attore del Tabarin era costretto a uscire dagli schemi, a inventare
cose nuove, a fare di se stesso un personaggio d'urto, a interpretare,
aldilà d'ogni copione, quelle che erano le caratteristiche
del suo pubblico.
Gino Franzi e Anna Fougez furono protagonisti di questo periodo
complesso della musica italiana. Intanto il contrasto fra quanto
ostentavano sulla scena e la loro vita privata:
Gino Franzi col bicchiere di Champagne in mano, elegante nel suo
frac blu notte, porgeva le canzoni sentimentali e romantiche, dalla
frase melodica ampia e suadente, accompagnandosi con gesti ampi
e lenti del braccio. Oppure, con ritmo appena accennato, le fioriture
delicate e sensuali, evocava le notti perdute dei Viveurs, le donne
ammaliatrici, l'amore aggressivo e violento.
In realtà era astemio, e nonostante il successo gli concedesse
ingenti guadagni, sperperava il denaro in donazioni a amici e parenti,
o si faceva truffare da antiquari poco scrupolosi.
Benché all'auge del successo costituisse anche sentimentalmente
con Anna Fougez la coppia più famosa del teatro italiano, finì in
miseria, e dopo la guerra sposò Nada Mery, una sua appassionata
ammiratrice dei tempi brillanti, che rincontrò dopo tanto tempo.
Anche la Soubrette Anna Fougez era immischiata nella doppia faccia
del varietà . Il mondo di lustrini, di luci colorate, di pennacchi
e di frac, lo spumeggiare delle coppe di Champagne, le favolose
mance elargite ai camerieri, l'ovattato splendore rosso e oro dei
separés costituivano soltanto la facciata dei Tabarin. Dietro tutto
ciò, non c'era soltanto la faticosa esistenza delle soubrettine
che mai avrebbero raggiunto la fama e che, appena sfiorite, sarebbero
finite 'come le lucciole' ad ammiccare ai clienti fuori la porta
del locale; c'era pure la accorta parsimonia dei proprietari dei
locali: gente assai lontana, per mentalità , dai leggendari e munifici
impresari del Tabarin Francese.
Se da un lato c'era il mondo fantastico e ricco del dannunzianesimo,
dall'altro c'era il Pascoli che rievocava una realtà fatta
di cose e persone modeste: pareva che la poesia-racconto, la canzone-racconto
potessero essere dedicate a una raffigurazione della vita in tono
minore, all'altra faccia dell'esistenza comune, così diversa dai
sogni di grandezza diffusi in quegli anni.
Uno degli interpreti più famosi della canzone-racconto fu Armando
Gill, l'autore di "come pioveva ", una vera e propria novella in
versi, un bozzetto sentimentale nel quale non manca nessuno degli
elementi tipici della malinconia dell'epoca: la pioggia, la sera,
il ricordo del passato, un amore buttato via che all'improvviso
ricompare, la stretta di mano nell'intimità della carrozza
e la consapevolezza che l'incontro altro non può se non ravvivare
l'amarezza del tempo perduto. Questa è intima aderenza a una realtà
sotterranea, segreta, tenuta nascosta dalla febbre di vita dei Tabarin
e dal dannunzianesimo.
Le canzoni impostate su questi temi ebbero tanta fortuna, perché
facevano da contrasto alla moda più chiassosa.
Armando Gill, da Napoli alla conquista dell'Italia settentrionale,
incontrò soltanto amarezza e decadenza finché la Seconda Guerra
Mondiale non lo zittì come tutti gli altri.
Le notti brave dei ricchi, sfrondate del loro alone misterioso e
fiabesco, sono l'illusione maturata a spese di qualche povera donna
appoggiata ai lampioni, e testimonia la vacuità , la banalità
dei miti creati attorno alle luci del Tabarin.
Fu il Tango, nei primi decenni del novecento europeo, il segno della
vita moderna e della moderna morale. Ci furono Tanghi più o meno
famosi, ma dipese dalla ballabilità della musica, non dal
valore dei concetti esposti nei versi. Nei balli è il disegno melodico
e le parole che determinano il carattere principale della canzone.
Nel Tango è la danza che prevale.
Nell'America latina, il connubio tra il tamburo africano degli schiavi
negri e il Tango Andaluso, fu musica di origine spontanea elaborata
poi da musicisti 'colti'. Nacque il Tango.
Il protagonista che esegue le figure complesse e sensuali del Tango
Argentino è il 'Compadrito', una specie di teppista urbano che veste
colori sgargianti, fuma come un maledetto, regge le sbornie, sa
maneggiare il coltello e vive alle spalle di qualche donna (o finge
il tutto). Il Compadrito rassomiglia dannatamente a un personaggio
che nella stessa epoca s'affaccia in Europa e diventa macchietta,
protagonista di spettacolo, simbolo vivente delle tendenze scapestrate
della moda: il Gigolot.
Il successo europeo del Tango Argentino fu dovuto al fanatismo che
pervase l'Europa, percorsa da una ventata del 'gusto del proibito',
nonostante le resistenze accademiche di danza e il parere del Vaticano.
Nel 1921, il film 'I quattro cavalieri dell'Apocalisse' di Rex Ingram,
conteneva una scena in cui Rodolfo Valentino e Alice terry ballavano
il Tango 'La Cumparsita'. Fu un'esplosione di entusiasmo che mantenne
vivo il Tango per decenni.
Le canzoni italiane erano di origine "colta", costruite a tavolino
da musicisti e parolieri, quasi mai spontanee.
In passato "farle imparare" spettava ai cantanti del Tabarin, ma
pochi potevano permettersi di trascorrere la serata bevendo Champagne.
Né i primi dischi potevano arrivare a tutti gli strati della società
: il prezzo del grammofono non era certo dei più accessibili. Fu
la radio che provocò una vera e propria rivoluzione. In pochissimo
tempo divulgò canzoni ovunque. Contribuì una spinta psicologica:
possedere una radio, intendersi di radio, captare segnali e suoni
dallo spazio significava, per le fantasie di allora, impadronirsi
di un segreto, partecipare a un miracolo; e in più prestigio e qualificazione
per chi la possedeva, per cui la si ostentava invitando amici, e
gli ascoltatori si moltiplicavano all'infinito.
Vittorio Belleli, il primo cantante radiofonico, fu quanto di più
improvvisato. Intanto prima nei locali si usava talvolta il Megafono
di latta. Quando il Maestro Cinico Angelini, alla sala Gay, una
balera di Torino, lo sentì cantare, fece che tecnici dell'EIAR apprestassero
strumenti di registrazione nella sala, e le trasmissioni cominciarono.
Subito compositori improvvisati, con paginette di quaderno piene
di versi, andavano e venivano tra il Maestro Angelini dell'EIAR
e la sala Gay, dove il cantante in poche ore imparava e cantava.
Finalmente venne costruito il microfono che il cantante usò per
la prima volta all'Odeon di Milano nel 1933.
La generazione dei cantanti-dicitori viene travolta da un nuovo
genere di canzoni che viene dall'America. E' una canzone fortemente
ritmata, o meglio "sincopata", scorrevole e brillante, che ha successo
per la sua capacità di comunicare agli ascoltatori un bisogno
di muoversi, di danzare. Le belle frasi di un tempo lasciano il
posto a versi brevi, in cui prevalgono i valori ritmici.
Il Maestro Vittorio Mascheroni inondò l'Italia di allegra, scanzonata,
facile e brillante musica sincopata.
Altri Italiani d'ingegno si dedicarono alla produzione di musica
sincopata: Giovanni D'Anzi nel 1926 con 'Charlestomania', Eldo Di
Lazzaro nel 1927 con 'Piccinina'.
Erano tempi in cui i testi delle canzoni avevano spesso un sottinteso,
un'allusione politico-socio-culturale, cosa che creò problemi agli
autori. La musica americana invece dilagava nelle piste da ballo
che sorgevano dappertutto, nei circoli rionali, nei caffè, negli
atri degli alberghi, negli stabilimenti balneari, ovunque ci fosse
spazio disponibile e pavimentazione adatta: veglie danzanti, Tè
danzanti, a Sanremo c'erano pure gli aperitivi danzanti dalle undici
a mezzogiorno.
Stramilano
Piccinina
Aprite le finestre al nuovo sole
Però, l'atteggiamento autarchico nel campo del costume, della cultura
e del divertimento da parte del regime italiano degli anni '30,
considerò il mondo Jazz in arrivo, come degenerato, negroide e capitalistico.
Ne è esempio l'azione dimostrativa contro la sede Fonit di Milano,
accusata di importare e vendere dischi americani.
Poiché i cantanti di musica leggera seguono i gusti spontanei del
pubblico, il Regime cerca di innestare, nella musica leggera, l'opera
lirica, prodotto nazionale per eccellenza. Squilla l'appello ai
tenori: A essi viene affidato il compito di risanare il gusto italiano
dell'esotismo. Tito Schipa, Beniamino Gigli, Tito Gobbi, Giuseppe
Lugo e tutti i massimi rappresentanti dell'opera lirica aderiscono
all'appello. Comincia, per loro, una nuova popolarità .
Nel 1937, Tito Schipa rese celebre la canzone 'Vivere', come squillante
grido di felicità . Tuttavia, rileggendo i versi della composizione
di Bixio, ci si accorge che è una felicità quanto meno un
po' strana; più ebbra che serena:
- Goder la vita e far tacere il cuore.
- Vivere senza rimpianti
senza mai conoscere cos'è l'amore
- Finalmente torna la realtà
e la commedia dell'amore
in una farsa trasformata sarà .
Come dire: per essere felici smettiamola di essere innamorati e
di pensare agli altri.
Mamma
Malinconia d' amor
Io non posso cantare alla Luna
Gli anni '35 '39 sono considerati, almeno per i ceti medi, come
'tempi felici', i tempi del benessere che consisteva nella possibilità
offerta a gran parte della piccola borghesia di comprare una radio
o un grammofono o una cucina economica o una motocicletta e di ostentare
questo bene come simbolo di prestigio, come attestato di felicità
raggiunta.
E' di questo periodo la 'battaglia del grano', quando per diminuire
l'importazione del grano si bonificò e si fruttò ogni acro del terreno
nazionale nella produzione del grano. Per questo nelle canzoni,
tante allusioni alla vita agreste.
Il benessere riguardava la classe impiegatizia, non certo gli operai
e i contadini, e si poteva godere a fondo solo dimenticando il prezzo
che era costato e che continuava a costare: il beneficio di pochi
a scapito di altri; e i pochi avevano sogni di grandezza: L'impero
coloniale, supremazia dell'Italia in politica internazionale. Insomma
era difficile capire dove finisse l'illusione e dove cominciasse
la realtà . 'Vivere' inaugurò la felicità di cui non era il
caso parlare.
E' in questo contesto che vengono messi in evidenza ogni aspetto
dei propri caratteri particolari contro il cosmopolitismo dei paesi
'nemici'; l'Italia ufficiale ripropose con irruenza la 'canzone
all'italiana', coinvolgendo in essa, per conferirle il massimo prestigio,
i più illustri artisti dell'opera. In pratica, si intendeva la musica
leggera, come una derivazione, una divulgazione dell'opera lirica
(ma non riuscirono a imbrigliare la canzone napoletana).
L'opera lirica, prodotto culturale dei ceti più illuminati e nobili,
che promossero il risorgimento costruendo l'Italia 'una e indipendente',
venne imposta come 'tipico prodotto nazionale'. In effetti, la musica
operistica di cultura borghese fu la sola manifestazione artistica
dell'Italia 'colta'. L'imitazione 'più semplice', 'più immediata',
'più divertente' fu l'operetta, smembrata a sua volta in tante canzoni
diremmo 'di consumo': le Romanze. Ed ecco scendere, dai palcoscenici,
solenni i tenori 'verso il popolo'. Durò pochi anni, ma cambiarono
l'Italia e l'Europa; fu la guerra.
Inno a Roma
Divina patria
Faccetta Nera
Il canto degli Arditi
Vincere
Inno Brigate Nere
I giovani dovettero ricorrere a sottili sotterfugi, per continuare
a reperire i pochi dischi americani che riuscivano a giungere in
Italia e che tenevano vivo un desiderio di libertà . Così accanto
alla melodia imperante (Giovinezza!), appaiono le prime canzoni
definite 'ritmo moderato' o 'ritmo allegro', affidate a cantanti
come Ernesto Bonino e Alberto Rabagliati, dallo stile nuovo e moderno
arrangiato dal Maestro Gorni Kramer.
Sono innamorato
Conosci mia cugina
A Zonzo
Il Giovanotto matto
Solo per te Lucia
Portami tante Rose
Bambina innamorata
Non dimenticar le mie parole
2 - I protagonisti della musica leggera italiana
Maestro Pippo Barzizza
Tango del Mare
Piccole Stelle
Sogni d' Or
Non ho più il vestito a fiori blu
Quel motivetto che mi piace tanto
Cade la neve
Il Maestro Pippo Barzizza è stato uno dei più applauditi direttori
d'orchestra italiani. Ha lanciato cantanti e si è imposto come compositore
per un lungo periodo. Inoltre è stato il primo arrangiatore di musica
italiano.
Ha iniziato la sua attività di musicista suonando il violino.
Ma successivamente, Barzizza, ha voluto conoscere un po' tutti gli
strumenti, il pianoforte, la fisarmonica, la famiglia dei sassofoni,
e anche la batteria.
Compose moltissime canzoni negli stili più disparati: 'Sera' bellissima
pagina fin troppo ardita per il suo tempo e melodicamente perfetta;
'Paquito Lindo' Tango, commento musicale di film. Solo sul finire
della carriera intensificò la composizione di colonne sonore.
All'inizio di carriera violinistica, ebbe spesso l'incarico di estrarre
dai dischi, spesso gracchianti, le partiture per i vari strumenti;
bisognava ascoltare e tradurre il suono coo in cui nessuno si staccava
dai 'clichés' tradizionali, gli diedero una notevole spinta e gli
consentirono di diventare uno fra i più bravi 'arrangiatori' italiani:
non aveva o quasi concorrenti.
Gli esami per entrare nella sua orchestra facevano tremare le gambe
ai più esperti. Era indispensabile conoscere perfettamente la musica:
orecchianti consentiti erano solo i batteristi e i cantanti; questi
ultimi, però, erano costretti a lunghissime ore con lo studio dell'interpretazione,
dei 'respiri', delle 'legature', della perfetta aderenza alle matematiche
leggi musicali, ne l'assoluto rispetto della fonetica e della dizione.
Nei ranghi della sua orchestra, però, militavano voci che, dopo
severissimi collaudi ai quali egli le sottoponeva, non avevano più
nulla da temere per i futuri cimenti.
Per coloro che vogliono dedicarsi al difficile ruolo di orchestratori
e arrangiatori, scrisse un trattato per facilitare il loro arduo
compito. Il libro di Barzizza, ancor oggi, resta vivo ed è presente
nella biblioteca di tutti coloro che, in Italia, si sono dedicati
all'arrangiamento di un brano. Gli esempi e gli schemi basilari
sono portati con tale chiarezza e semplicità , che non vi è la possibilità
di interpretarli erroneamente. La conoscenza diretta dei vari strumenti
ha permesso all'autore del testo una approfondita e perfetta esemplificazione
del miglior uso da fare delle varie voci che compongono l'orchestra.
Riascoltati oggi, i dischi di Barzizza, denunciano l'evidente tentativo
di seguire l'evoluzione delle più note orchestre americane; cosa
lodevole in sé, ma che lo ha costretto più volte a mutare stile
e concezione, danneggiando l'affermazione della propria personalità
.
Il momento di maggior gloria, nell'attività di Peppe Barzizza,
fu quello torinese, che ebbe il suo culmine nel periodo precedente
il conflitto mondiale, dal 1938 al 1942.
Ritiratosi a Sanremo, lontano dalle battaglie tra discografici ed
editori, continuò la sua attività nell'ambito della canzone,
insegnando musica a giovanissimi allievi.
Maestro Angelini
Il Maestro improvvisa
Paese Blu
Mambo Italiano
Ancora (N. Pizzi)
Ma che musica Maestro
Eternamente
Vero nome Angelo Cinico, con la sua orchestra ha regalato
al pubblico della canzone italiana ritornelli da cantare, parole
da ricordare, momenti da non cancellare. Quasi trent'anni della
nostra musica leggera hanno visto tra i protagonisti assoluti questo
maestro e la sua orchestra.
I primi fenomeni di acceso fanatismo per artisti non appartenenti
al mondo della lirica si sono verificati parallelamente all'aumentare
della popolarità di Angelini e dei cantanti che, in tanti
anni di carriera, ha saputo lanciare. Angelini capì quale e quanta
importanza avessero le voci, se inserite abilmente nell'impasto
strumentale dell'orchestra.
Teniamo presente che il nostro protagonista si affacciò alla ribalta
in un periodo in cui la canzone italiana era appena allo stato artigianale,
ma era riuscito ad ottenere con la sua orchestra una particolare
qualità di suono, che la distinguesse dalle formazioni concorrenti.
I brani trasmessi, anche non cantati, erano riconoscibili al primo
ascolto; magari esecuzioni discutibili, comunque sempre personalissime
e inconfondibili. Il segreto di questa "ricetta magica" è quel tanto
di impalpabile, di irreale, che accompagna l'ascesa di quasi tutti
i fenomeni. Un musicista direbbe, da tecnico, che non trova una
spiegazione logica; un profano direbbe che Angelini era così popolare
perché presenta canzoni facili, sempre ben cantate, talvolta anche
belle. In verità Angelini non ha mai dimenticato di "lavorare"
unicamente per il proprio pubblico, sordo ai suggerimenti e alle
ammirazioni di colleghi e musicisti. Tuttavia, era proprio infischiandosi
dei colleghi e delle loro sentenze che egli costruiva la sua notorietà
, centrando sempre il bersaglio del successo popolare, al contrario
di quanto capitava ai suoi moltissimi antagonisti.
Torino era allora la capitale italiana della danza, con numerosissime
"sale da ballo", dove si svolgevano ogni giorno, trattenimenti pomeridiani
e serali con un pubblico sempre strabocchevole: studenti, sartine,
sfaccendati, Viveurs, signore in vena di evasione, mariti in cerca
di avventure; c'era un cocktail di varia umanità in cerca
di svago, oltre ad un buon numero di veri appassionati del ballo.
Una delle sale che l'élite torinese frequentava per sfuggire alla
noia, era la "sala Gay", dove 'agiva' l'orchestra Angelini, che
aveva un vero e proprio cantante: Vittorio Belleli. La Radio scelse
la 'sala Gay' per i suoi collegamenti esterni e le trasmissioni
ebbero tale successo che l'orchestra Angelini fu chiamata ad esibirsi
regolarmente anche negli auditori.
Avendo girato, quale violinista, mezzo mondo, Angelini conosceva
i gusti della gente e non gli fu difficile assecondarli in pieno.
Intuì che la canzone, diventando ballabile, avrebbe avuto un grande
avvenire: le parole avrebbero dato il loro galeotto contributo agli
idillio nascenti, avrebbero sostituito il timido balbettamento di
una frase galante, sarebbero diventate complici in tanti balli 'guancia
a guancia'.
Nei concorsi 'voci nuove' dell' EIAR, molti cantanti ebbero modo
di salire alla ribalta dello spettacolo musicale legando i loro
nomi alle semplici note di un motivetto, al testo un p' ingenuo
di un ritornello; restando nei ricordi di chi li ascolta in un momento
particolare. Modesti, puntuali, educati, attenti, i cantanti trasmettevano
'in diretta' nelle ore di massimo ascolto per un'invisibile platea
sempre più numerosa, più esigente.
Dopo la guerra, fino al 1960, ci fu il Boom di cantanti e vendita
di dischi e Angelini era il re della canzone italiana. Fu all'avanzare
di correnti musicali d'oltremanica e d'oltreoceano, allo sbocciare
dei primi contestatori sul piano musicale, al dilagante fenomeno
del cantautorismo, allo sconcertante fiorire e sfiorire di nomi
e di mode, alla necessità di essere più 'personaggi' che 'artisti',
che Angelini si ritirò in buon ordine, a notorietà intatta.
TRIO LESCANO
Tulipan
Ciribiribin
Pippo non lo sa
Maramao perché sei morto
Il Pinguino innamorato
Camminando sotto la pioggia
Il tempo delle canzoni 'alla maniera del Trio Lescano' è finito
con l'avventodei nuovi 'miti canori'. Resta la nostalgia di note
briose, di uno stile allegro e spigliato, quanto più gonfi di preoccupazioni
universali era i tempi. Canzoni gentili, di sapore romantico o agreste,
tuffate in ritmi svelti e sereni: canzoni tali da strappare il sorriso.
Bisogna ricordare l'atmosfera nella quale esso si esibiva, per apprezzarne
ancora oggi le canzoni. Sarebbe ingeneroso pretendere di dare un
giudizio sulla bravura del Trio Lescano e sulle canzoni del suo
repertorio, giudicando soltanto dal punto di vista estetico.
Con la radio, le esigenze dei radio ascoltatori si erano educate
alle mode musicali anche straniere. E delle novità straniere,
l'Italia aveva già assimilato lo Swing, ossia quella specie
di Jazz molto edulcorato, privo dell'aggressività e genuinità
della musica spontanea negra, ma che svolse una funzione innovatrice
riguardo alla musica da ballo e allo stile delle canzoni. L'originaria
vigoria, bruta e insieme dolcissima, del Jazz negro, già mitigata
e resa meno inquitante dallo Swing, divenne leziosa, cinguettante,
sofisticata, grazie all'avvento di Trii femminili: dalle Boswell
Sisters, alle Peters Sisters, alle Andrew Sisters. Da qui venne
in mente di reclutare per la radio italiana le tre sorelle olandesi
che si chiamavano Leschan e indurle a cantare assieme: loro, che
volevano fare le ballerine!
Una spolveratina di educazione italica e melodrammatica alla scala;
infine una buona dose di lezioni dal 'mago' della canzone italiana
che fu il Maestro Prato. Questi gli ingredienti del Trio Lescano.
'Tulipan', cavallo di battaglia del Trio, permise alle tre sorelle
di esibirsi in preziosi ricami ritmici, che facevano venire la pelle
d'oca ai tradizionalisti, ma mandavano in sollucchero i giovani.
'Maramao perché sei morto': filastrocca-scioglilingua, difficile
da cantare anche per un toscano, figurarsi le tre sorelle olandesi,
che mai riuscirono a impadronirsi perfettamente della lingua italiana.
Ma divertivano le civettuole storpiature linguistiche, in un'epoca
in cui gli accenti stranieri erano banditi.
Natalino Otto
Solo me ne vo
La Fidanzata
La classe degli asini
Polvere di stelle
Biribimbo Biribambo
Da te era bello restar
Natale Cadognotto, detto Natalino Otto, per un decennio è stato
la voce moderna della canzoni italiana. La sua vivace canzone 'sincopata'
e il senso del linguaggio jazzistico, l'aveva imparato esibendosi
sulle navi da crociera e in america. Lo Swing superficiale che anima
le sue canzoni, quell'ingenuo impegno di 'sincopare', rappresentò
per molti una piacevole novità in un banale paesaggio di un'Italia
profondamente provinciale percorsa da ansie inappagate di novità
, e dominata ancora dalla melodia pseudo-italiana.
Nataliano Otto ha recitato con onestà e coerenza la sua parte
nel futile e spregiudicato mondo della musica leggera.
Un 'foglio d'ordine', nel 1926, stabiliva che gli italiani dovevano
cantare in italiano, ma per un ambiguo equilibrio internazionale,
la musica leggera 'moderna' riusciva a trovare un suo posto, anche
se questo tipo di musica on era ben visto dalle autorità .
Nel 1927, Gorni Kramer e Natalino Otto debuttarono insieme a Viareggio
per il pubblico dei bagnanti con un repertorio in buona parte di
gusto americano.
Fu con la guerra d'Africa che il Re e Imperatore, oltre che il Duce
e fondatore dell'Impero, portarono la gioventù del Littorio a specchiarsi
nei valori eterni della stirpe, nella memoria di Roma, nelle forze
vive della Nazione, e non ci fu più posto per ambiguità musicali.
'Polvere di stelle' fu ribattezzata 'Cosmo'.
'Mister Paganini' . . . 'Maestro Paganini'.
'Saint Louis Blues' . . . 'La tristezza di San Luigi'
Odoardo Spadaro
Fiorenze (O. Spadaro)
Il cappello di paglia
Qualche filo Bianco
Il Valzer della povera gente
Ninna Nanna delle Mamme
Ninna Nanna dell'Arno
Odoardo Spadaro fu l'unico Chansonnier del teatro italiano.
Chansonnier non vuol dire né cantante né attore né dicitore, ma
indica una mescolanza geniale di tutte queste virtù, aggiungendone
altre inconfondibili: la ricchezza della fantasia, l'immediatezza
delle battute, la capacità di improvvisare sul palcoscenico,
di passare da una canzone a una barzelletta a un gioco di prestigio
a un'imitazione.
Nell'ampio repertorio di canzoni dedicate alla sua città natale,
Firenze, Lo Chansonnier mostra un'eleganza un po' insolente, non
aliena da una nostalgia sempre repressa dall'ironia, che sono diventati
un po' lpa sigla dello spirito fiorentino nel mondo.
Spadare nacque nel 1893 a Firenze, e salì presto sui palcoscenici
invece di avviarsi alla professione di avvocato. Per questo andò
incontro alle mille difficoltà che la vita di artista gli
procurava. Dovette emigrare in francia, prima a Marsiglia, dopo
a Parigi dove conobbe il successo. Al 'Moulin Rouge' recitò a fianco
a Mistinguette e a Gabin, ma non fu lì che divenne lo chansonnier
che conosciamo, ancora non aveva un suo repertorio. Fu quando dopo
il successo si mise da solo e seguì gli emigranti italiani verso
le americhe. A Buenos Aires faceva avanspettacoloprima della proiezione,
e ogni settimana cambiava repertorio cje creava da sé. Alla Partenza
per il ritorno in Italia, una ragazzina, figlia di emigranti, gli
domandò: 'Signor Spadaro, davvero lei è di Firenze?' - 'Sì' - 'Allora
la porti un bacione a Firenze'. Sulla nave Spadaro compose la canzone
che la ragazzina gli aveva suggerito.
Si avvicinava la guerra e tante cose erano cambiate in Europa. Il
Moulin Rouge ora era un cinema. Reclutò dodici ragazze della famosa
'Troupe blue-Bells' e si esibì in Italia e in Francia alle Folies
Bergères: ma l'epoca della spensieratezza era finita. Spentisi i
riflettori della Parigi notturna, si accesero quelli, saettanti
nelle notti infuocate, dell'artiglieria contraerea.
Maestro Gorni Kramer
Sopra le onde
Concertino
Carovana negra
Crapa pelada
Domenica è sempre domenica
I Pattinatori (Kramer Fisarmonica)
A nove anni suonava la fisarmonica nel complesso del padre Francesco
Gorni, che gli fu maestro severo, ma anche lo zio Cesare Rossi del
Liceo musicale di Mantova lo istruì in Armonia e Contrappunto. A
sedici anni eseguiva 'a solo' di contrabbasso nell'orchestra del
teatro regio di Parma. Ma era la fisarmonica, il Jazz e le canzoni
il suo futuro. Il padre gli affidò un secondo complesso, con la
disperazione degli orchestrali, perché il giovane maestro pensava
più a giocare che a 'lavorare', e quando l'imberbe, ma già
esperto fisarmonicista, si lanciava in imprevedibili e virtuosistiche
improvvisazioni, facevano fatica improba a seguirlo.
Kramer componeva brani per virtuosismi alla sua fisarmonica, faceva
arrangiatore per la Curci e compose canzoni per la Sugar. Aveva
rapporti con i grandi editori della Galleria del Corso di Milano,
Ma quando i discografici si impadroniranno del mercato musicale,
negli anni '50, Kramer non si farà condizionare e fonda una
sua casa editrice. Negli anni Cinquanta sarà uno dei protagonisti
del 'Boom' della commedia musicale.
Lo hanno accompagnato nella sua esperienza musicale Natalino Otto,
il Quartetto cetra, i commediografi 'Garinei e Giovannini'. Visse
il passaggio dal Teatro di Rivista, alla Rivista-Commedia Brillante,
Alla commedia Musicale, nella decade più felice del nostro teatro
musicale leggero. E arrivò nel '54 la Televisione, dove partecipò
in tutti i programmi musicali ed è diventato un personaggio televisivo.
Ma la sua musica divenne veramente popolare con il Quiz canoro 'il
Musichiere', prima importante produzione musicale RAI di Via Teulada,
nuovo centro appena inaugurato.
Alberto Rabagliati
Baciami piccina
Bambina innamorata
Sposi
Ma l'amore no
Dammi una rosa rossa
Tu musica divina
Da sconosciuto a erede di Rodolfo Valentino: La favola moderna di
Alberto Rabagliati comincia così, improvvisamente, da un concorso
cinematografico, che fa di uno studente poco più che diciottenne
un divo della celluloide. Ma i tempi sono cambiati e in America
non attira più l'Appeal Latin Lover di Valentino. La crisi del '29
e il New Deal, il nuovo corso per la democrazia e la dignità
umana, lo lasciano solo ed emarginato dal mondo dello spettacolo.
Nel 1931-'33, l'Italia, a differenza dell'America, attraversava
un periodo apparentemente felice. Una specie di romanticismo languoroso
riemergeva nella piccola borghesia nazionale. Nel cinema, nei fotoromanzi
Rabagliati interpretò l'innamorato che scambiava sguardi impossibili,
sognando felicità senza fine. Dopo l'America, ora in Italia
mandava in deliquio: il sorriso era sempre lo stesso, bello anche
se poco convinto, pulito e schietto anche se non conquistatore.
Un sorriso da 'guarda cosa s'ha da fare per vivere'.
Finché, 'Maître de plaisir' all'Excelsior di Venezia, Ingaggiò l'orchestra
Lecuona, e una sera per scherzo si mise a cantare lui stesso. Ebbe
un buon successo, e continuò a cantare. Con i Lecuona, che incontrò
ancora a Parigi, girò il mondo vestito da Cubano. In Italia, nella
RAI, la sua voce, troppo esotica, troppo strana, non era permessa.
Solo La casa discografica Cetra gli lasciò incidere sei facciate
di dischi. E stavolta fu veramente il successo, il trionfo.
Alberto Rabagliati, con i suoi esotismi, con la sua musica sincopata,
diventò divo sul serio negli anni più crudi della storia italiana,
quando la guerra era scoppiata. Fu un divo straordinario: la Radio
dopo averlo respinto, gli offrì un intero programma intitolato al
suo nome: 'Quando canta Rabagliati'.
Luciano Taioli
Terra straniera
Addio sogni di gloria
Violino tzigano
Angeli negri
Tutte le mamme
Torna al tuo paesello
Partito nella vita con un handicap fisico molto duro, quando ha
scoperto il dono della voce, non ci ha fatto più caso. Cantare era
la sola cosa facile della sua infanzia; un'evasione, un uscir da
quel mondo povero e faticoso; così, cantando, scoperse di 'possedere
una voce'.
La sua forza fu di essere estremamente umile, di accettare consigli
da tutti, di cercare di capire la radice di quel particolare canto
che deve dare senso e vigore a una canzone. Così, la voce c'era,
nitida, chiara, limpida, capace di arrivare senza sforzo al 'La',
perciò seguendo i consigli, cercò di interpretarle le canzoni più
che cantarle.
La musica lo ha accompagnato per un lungo viaggio durato molti anni.
Con essa ha vissuto la sua vera vita, come una liberazione da se
stesso, come un impulso che lo ha portato a misurarsi con contanti
moderni, con il vantaggio che, essendo un cantante completo nelle
canzoni 'spiegate' (voce, canto, estensione vocale, passione, interpretazione),
poté affrontare le canzoni moderne con quanto di strano e di arduo
è in esse.
Tajoli, da viaggiatore instancabile, ha saputo portare le sue note
nostalgiche tra gli emigranti Italiani di tutto il mondo, 'visitando'
con tenerezza la loro nostalgia, e accogliendo ovunque applausi:
in Australia, in Canada, nell'America Latina; in Giappone è particolarmente
apprezzato e molte locandine finemente affrescate lo hanno fatto
conoscere ai Giapponesi.
Il suo Handicap fu un valico che non gli fece percorrere la via
della televisione, benché partecipando a Sanremo ha lasciato ricordi
ancora vivi: 'Sole, pioggia e vento'.
Nilla Pizzi
Grazie dei fior
Vola colomba
Tango delle rose
Tornerai
L'Edera
Tango della gelosia
Tante illusioni, tanti sogni, e poi la realtà . Fuggiva di casa
par andare a ballare, la realtà erano le botte di papà
al ritorno. Sognava di cantare ascoltando la radio, la realtà
era che lavorava in una fabbrica. La cugina la illuse che con la
sua bella voce poteva cantare belle canzoni, ma il maestro da cui
andarono per esaminare la voce fu chiaro: "non c'è niente da fare".
Stufa, cominciò a insistere: possibile che tutto le andasse sempre
contro? e difatti, infine, venne presa in considerazione e a un
concorso canoro risultò prima. Ma a casa non poteva rivelare il
trionfo. Pure il Maestro Angelini che ora la istruiva, esitava ad
aprirle la strada. Così si mise a protestare alla radio che voleva
cantare. "Ma questa vuole proprio cantare?", si sbigottì Angelini.
"Pare di sì" risposero. Per questo Nilla pizzi si trasferì a Roma,
dove fece tre anni di tirocinio alla RAI: Solfeggio, Lezioni, Scale,
Arpeggi, Gorgheggi. Alla RAI mise a posto la voce, le note, il fraseggio,
la dizione. Così alla vigilia di Sanremo, fu pronta per imparare
la prima canzone: 'Grazie dei fior'. Nilla piacque subito, divenne
subito famosa perché possiede una abilità unica nel dare risalto
alla parola, nel rendere il valore ironico e appassionato insieme
di ogni canzone. Glielo insegnò Angelini che un cantante può durare
nel tempo se ha da dire, da trasmettere qualcosa al pubblico. Però
questo qualcosa lo deve naturalmente sentire ed elaborare profondamente
il cantante stesso. Se dentro c'è il vuoto, non si stabilisce nessun
contatto con il pubblico. E Nilla aveva un mondo tutto suo da far
conoscere, pieno d'amore, di affetti generosi e di sogni che consentono
di sperare, di avere persino fiducia nella gente.
Quartetto Cetra
Aveva un bavero
I ricordi della sera
Però mi vuole bene
In un palco della Scala
Juanita Banana
Il Visconte di Castelfombrone
Enrico Gentile, Giovanni Giacobetti, Iacomo Iacomelli, ed Enrico
De angelis dall'iniziale dei loro nomi formarono la sigla E.G.I.E.,
e con questa sigla si fecero conoscere nel mondo dello spettacolo
e della rivista, come quartetto vocalista.
Grandi consumatori di dischi americani, nel 1940, prepararono due
pezzi in quello stile, ma quando si presentarono alla radio per
un'audizione si accorsero che avevano bisogno di un repertorio tutto
italiano. Conoscevano, nell'ambito musicale, Virgilio Savona, un
giovane palermitano che studiava a Roma al Santa Cecilia, il quale
li aiutò assegnando le parti vocali, facendo gli arrangiamenti e
scrivendo qualche canzoncina per il complesso. L'impatto con la
radio non fu felice; nel rimpasto Virgilio Savona prese il posto
di Iacomelli, e cominciarono a esibirsi in spettacoli da Nord a
Sud dell'Italia. Cantavano L'arca di Noè, Il Visconte di Castelfombrone,
Pattuglie Gaie, Rane nello Stagno, Ruote di carro, . . .
La sigla E.G.I.E. non reggeva con i nuovi nomi, così la cambiarono
in CETRA. Il gruppo non era ancora affiatato, Gentile faceva spesso
serate 'a solo', Savona insegnava in una scuola di canto, dove conobbe
Lucia Mannucci sua futura moglie. Anche la guerra contribuì a disgregare
il Quartetto Cetra; più volte parteciparono agli spettacoli ricreativi
per le Forze Armate, con formazioni provvisorie del gruppo vocale.
L'ultimo scambio fu alla fine delle peripezie della guerra, dopo
aver scambiato tante volte i partecipanti al gruppo, quando Enrico
De Angelis, sposatosi, decise di cambiare attività e lasciare
i vecchi amici. Il suo posto fu preso da Lucia Mannucci, e dall'Ottobre
del '47, al teatro delle Arti a Roma, rimase la formazione definitiva
conosciuta per decenni: Lucia Mannucci, Virgilio Savona, Giovanni
Giacobetti e Felice Chiusano.
Il Quartetto Cetra partecipò a riviste e commedie musicali da un
lato e varietà televisivi dall'altro, ha perfezionato una
formula molto gustosa di interpretazione delle canzoni, che è poi
una versione moderna in chiave uomristica dell'antica 'Sceneggiata'.
Con le tournée estere furono conosciuti in tutto il mondo, e in
Italia erano inseriti regolarmente negli spettacolo televisivi a
fianco dei più grandi presentatori, cantanti e attori, che nel tempo
si sono succeduti fino alla fine degli anni '80.
Claudio Villa
Serenata celeste
Un amore così grande
Vecchia Roma
Luna rossa
Arrivederci Roma
Non pensare a me
Claudio Villa è un tenore. E' la qualità della sua voce, prima
che il cantante di canzoni, che dà un tratto tipico alla sua
personalità sia artistica che umana, oltre che un carattere
caparbio e ostinato. Studiando musica, mirava a Carlo Buti, e all'opera
lirica, non all'esotismo rilisciato e un poco lezioso del Rabagliati.
Quando occupò il posto di Carlo Buti, aveva un timbro più chiaro,
più brillante, e di falsetti, sgomitolati come stelle filanti in
parabole ascendenti e discendenti, era ancor più prodigo del suo
predecessore.
Nel dopoguerra, con l'occupazione delle truppe anglo-americane,
la dilatazione delle borgate, la criminalità , il problema del pane,
c'era un senso di ingenua e provinciale nostalgia per certe forme
di vita di altri tempi. Si presentiva che ci si stava accomiatando
dal mondo dell'economia agricola per addentrarci nel mondo delle
industrie e della civiltà di massa. Era l'America che, insieme
alla farina, ci forniva canzoni e ritmi di danza, ma l'Italia melodrammatica
aveva Villa che, imperterrito e controcorrente, cantava 'Casetta
di trastevere' e 'Serenata celeste', o addirittura 'Borgo antico',
melodramma per l'estrema periferia con i ragazzi di vita di Pier
Paolo Pasolini. Erano canzoni che rappresentavano una primordiale,
ma profetica elegia sugli sconci urbanistici dei nostri giorni,
sui centri storici intasati di automobili, sugli alberi sterminati,
sulle campagne spopolate, sui vecchi paesi di collina destinato
all'abbandono e allo sgretolamento. Villa cantava queste canzoni
con il fraseggio imperioso dei tenori, con le consonanti martellate
dei cantanti romani di tutti i tempi e con l'accento mordente e
insolente degli stornellatori che dà sempre l'impressione
che il protagonista maschile sia 'un duro', anche quando la protervia
della protagonista femminile lo mandava curvo come un salice piangente:
'Vecchia Roma' e 'Luna rossa' furono l'elegia delle elegie su un
modo di vivere, di sentire e di fare l'amore che andava a catafascio.
La sua voce soave e timbrata, carezzevole e vibrante, aveva una
commossa sincerità non sempre trovata nel repertorio successivo.
Domenico Modugno
La donna riccia
Vecchio Frack
Ciao, ciao Bambina
Meraviglioso
La lontananza
Tu sì na cosa grande
E' nato a Poliognano a Mare (Bari). Fin da piccolo acquisì dal padre
la passione per la musica. Imparò a suonare la chitarra e la fisarmonica
e a 15 anni compose la sua prima canzone.
Insofferente alla vita paesana a 19 anni andò a lavorare a Torino
e poi a Roma, dove partecipò al concorso per attori al Centro Sperimentale
di Cinematografia, e, vinta la borsa di studio di recitazione, sarà
questa l'impronta che resterà viva per tutta la sua vita.
Negli anni '50 si dedica alla recitazione e in un film de '52, dove
interpreta un soldato siciliano che canta una 'Ninna Nanna' a una
bambina. Da qui nasce la leggenda del "Modugno siciliano".
Partecipando a concorsi musicali alla radio, "Trampolino" e "Radioclub",
impose la sua qualità di attore nella recitazione delle canzoni
e della loro poetica. Questa sarà l'impronta sua da ora in avanti
nella musica italiana. Lui non 'cantava' le canzoni, le recitava,
le interpretava, con la sua prestanza e interpretazione scenica.
Il suo grido elettrizzante - 'Volare!' - romperà tutti gli schemi
musicali fino ad allora - 'grazie dei fior' o 'il campanaro della
valsugana'- ed inizia un nuovo sentire per la musica, inizia una
nuova era.
'Nel Blu dipinto di Blu' arrivò con una carica di urto e di estro,
come un irrimediabile spartiacque fra un prima e un dopo.
Nessuno ha scritto tante belle canzoni che rimarranno per decenni,
nessuno è completo come lui quale cantautore, showman, attore. E'
il padre della canzone italiana moderna. Ha messo in musica la vera
poesia, la musica del verso.
Grande come artista e come uomo, è il caposcuola dei cantautori,
un interprete in grado di dare i brividi. La sua Musica è un brivido
di Bellezza senza più nazionalità. Il suo "Ciao, Ciao Bambina" è
un'espressione conosciuta ovunque, da Tokyo a New York.
Nella musica mostrò una gioia, una vitalità, una genialità da laico,
quasi da pagano dionisiaco.
3 - Canzone napoletana
La canzone classica napoletana è sì
musica popolare di Napoli, ma è, meglio, il repertorio che va dagli
inizi dell'Ottocento all'immediato secondo dopoguerra, e rappresenta
uno dei punti d'eccellenza della canzone italiana, divenuti nel
corso degli anni simbolo dell'Italia musicale nel mondo. I brani
del periodo sono stati interpretati nel corso del tempo da numerosi
interpreti di fama mondiale i quali hanno contribuito alla diffusione
della musica napoletana.
Nonostante sia una musica popolare (musica pop), quindi di tradizione
orale, appartiene eccezionalmente alla popular music (Pop music).
I due elementi che aiutarono la propagazione ed il successo dell'attività
musicale furono sia la nascita, intorno ai primi dell'Ottocento
di negozi musicali e di case editrici musicali, di brani antichi;
sia i cosiddetti "posteggiatori", ossia musici vagabondi che suonavano
le canzoni o in luoghi al chiuso o davanti alle stazioni della posta
o lungo le vie della città , talvolta spacciando anche le "copielle",
fogli contenenti testi e spartiti dei brani parzialmente modificati.
Fra la seconda metà dell'Ottocento e la prima metà del
Novecento, la canzone fu arricchita di elementi caratterizzanti,
nei suoi temi, di decadentismo, pessimismo e drammatismo ad opera
di intellettuali che ne modificarono lo spirito originario. In quel
periodo i maggiori musicisti e poeti si cimentano nella composizione
di numerose canzoni ponendo le basi per la nascita della canzone
classica napoletana, pietra miliare della canzone italiana ed uno
dei repertori più conosciuti all'estero.
Nel secondo dopoguerra, invece, Renato Carosone mescola ai ritmi
della tarantella le melodie e gli strumenti tipici del jazz, contribuendo
così ancor di più all'esportazione in America della canzone napoletana,
ma la stagione del repertorio classico è finita.
Oggi, Bruno Venturini rilegge in chiave lirica i più famosi brani
del repertorio classico della canzone napoletana, dando vita ad
una significativa opera antologica, nella continuità del bel
canto italiano nel mondo, che ha avuto nel grande tenore Enrico
Caruso la sua massima espressione vocale.
Nel
1950 la canzone Italiana, era snobbata, e poco capita dalla maggioranza
del popolo, che parlava solo il dialetto, e non capiva i testi di
alcuni brani. La canzone Italiana era però la preferita, anche se
per qualche tempo gli Italiani si rivolsero a generi musicali di
altre nazioni. Erano gi anni delle canzoni Francesi, Edith Piaf
con "La vie en rose" divenne la beniamina degli ascoltatori raffinati
e colti, ai quali tutto non si riduceva nell'apprendere una strofa,
o in un ritornello. I ritmi latino-americani ebbero nel nostro paese
una grande notorietà , ricordiamo "Besame Mucho".
Danze stravaganti ed esotiche, tipo la "Rumba" la "Samba" erano
in voga, ma non riuscirono a mettere da parte la canzone melodica
Italiana. Era il periodo della concupiscente, prorompente, Rita
Hayworth, con la sua "Amado mio" nel film dove interpretò Gilda.
Quando nacque l'idea del festival della canzone Italiana, la città
di Sanremo era ancora mal ridotta, con tanti problemi da affrontare
e risolvere. il Teatro comunale era andato distrutto dai bombardamenti,
la guerra era finita da poco, però c'era la volontà di uscire
dall'impedimento guerresco. La città era intenzionata di riprendersi
il suo ruolo principale nel campo turistico e floricolo.
In quegli anni protagonista era solo la radio, e le canzoni diffuse
divennero il simbolo della nostra società .
Si racconta che il festival sia nato quasi casualmente, nell'indifferenza,
generale. Fu il pubblico invece a decretarne il grande successo.
Grazie all'interessamento di alcuni personaggi, del gestore della
Casa da Gioco, Pier Busseti, e del Maestro Razzi della Rai, nacque
il -Festival di Sanremo- e fu la Radio a diffondere, la sera del
lunedì del 29 gennaio 51, le prime note del festival nella case
Italiane, trasmissione in diretta da uno dei locali più eleganti,
il salone delle feste del casinò. Il presentatore Nunzio Filogamo
così annunciò il suo saluto, che divenne proverbiale, dicendo; "Cari
Amici, vicini e lontani...".
"Orchestra della canzone" diretta dal maestro Cinico Angelini. Le
20 canzoni che giunsero in gara, e proposte al pubblico della casa
da Gioco, furono interpretate da Nilla Pizzi, Achille Togliani e
del Duo Fasano.
10 Canzoni in gara la prima sera, ed il pubblico presente attraverso
una votazione. scelse le 5 per la finale. La terza serata sempre
il pubblico scelse,tra le dieci canzoni finaliste, le tre canzoni
vincenti.
Vinse con la canzone "Grazie dei fior" Nilla Pizzi. Il suo disco
ebbe un grande successo, infatti ebbe un fatturato di 36000
copie.
La canzone vincitrice del primo festival, diventò popolare, e ancora
oggi fa parte della storia della musica leggera. Grazie alla diffusione
della Radio.