Le divinità protagoniste della saga di Gilgamesh sono l'argomento che più mi sento chiedere dai navigatori Web. Le mie risposte, andando pian pianino ad arricchire le note al testo, sono però diventate così numerose da superare in estensione il testo stesso! La decisione di raccogliere il materiale sparso in una pagina dedicata si è imposta con somma priorità. Laddove incontrerete riferimenti a questa o quella tavola è sottinteso che si allude alle tavole dell'Epopea di Gilgamesh. Va da sé che per affrontare questa sezione è utile aver prima letto l'epopea. Inoltre, una solida base sugli avvenimenti storici in Mesopotamia non potrà che agevolare la lettura. |
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Secondo i miti più arcaici gli Anunnaki sono dei della fertilità e degli inferi, mentre gli Igigi sono gli dei del cielo capeggiati da Enlil. Secondo il mito di Atramkhasis invece gli Anunnaki rappresentano la classe aristocratica divina, contrapposta alla plebe degli Igigi. E' proprio dallo scontro Anunnaki-Igigi che avrà origine l'uomo. Secondo infine l'Epopea di Gilgamesh, Anunnaki e Igigi sono sinonimi anche se i giudici dell'aldilà sono solo detti Anunnaki.
I principali Anunnaki sono:
Altre importanti divinità sono Ishkur (in accadico Adad, dio delle tempeste assimilato poi a Baal), Dumuzi (in accadico Tammuz, dio dei pastori), Ninurta (dio della guerra), Nabu (dio degli scribi e delle arti) e la triade infernale Ereshkigal (la notte), Namtar (il destino), Nergal (in accadico Erra, la pestilenza). [Divinità ittite: Shaushga (Ishtar), dea Khepat della città di Uda, dio Gurwasu, dea Ningal, dee Damnassara nel racconto di Kesh-shi p. 162 Sap 1996]
Divinità minori sono: Ashnan (dea del grano), Lahar (dea del bestiame), Emesh (dio dell'agricoltura), Enten (dio agricoltore), Uttu (dio dei costumi domestici), Enbililu (protettore del Tigri e dell'Eufrate), Ennugi (o Enkimdu, custode dei canali d'irrigazione), Kabta (custode degli strumenti agricoli), Mushdamma (custode delle fondamenta delle case), Sumuqan (dio della steppa), Ghibil (dio del fuoco), Ziqiqu (o Anzaqar dio dei sogni), Geshtinanna (sorella di Dumuzi e dea della vite e del vino), Baba (patrona delle nascite), Nusku (visir di Enlil).
Naturalmente non serve imparare a memoria i suddetti nomi! Per familiarizzare con essi dovete leggere molti miti. Inoltre è fondamentale, per la vs. preparazione, non trascurare mai divinità greche, egizie, indu, romane, ecc.
Certe divinità erano appannaggio esclusivo di una città-stato. E' il caso di Ningirsu, patrono di Lagash o di Dagan, patrono di Mari. Nella celebre Stele degli Avvoltoi (XXV sec. a.C., oggi al Louvre) Ningirsu predice in sogno al re Eannatum la sconfitta dell'odiata Umma e l'alleanza con Kish. Il tempio di Ningirsu era l'Eninnu fatto costruire dal più celebre sovrano di Lagash (Gudea, XXII sec. a.C.). Araldo di Ningirsu, a volte identificato con la medesima divinità, era il demone Anzu (o Imdugud) che avrà immensa fortuna nell'epica babilonese (lo ritroviamo, per esempio, nel Gilgamesh, nel ciclo di Lugalbanda e nella saga della tavoletta dei destini). Ningirsu invece, col declino politico di Lagash, verrà assorbito per sincretismo dalla figura di Enlil. [Casa dei cinquanta=Enlil, sorelle di Ningirsu sono Nidaba e Nanshe (interprete dei sogni di Gudea)]
I consigli divini sono una prassi nel mondo mesopotamico (come in quello greco) ogni volta che una minaccia perturba l'ordine del cosmo. Come nelle minacce di Apsu o Tiamat o Asakku o Anzu, il consiglio divino è convocato per deliberare il da farsi (solitamente eleggere un campione che combatta la minaccia riportando ordine). E' curioso come nei consigli Enlil si comporti da primus inter pares, coinvolgendo i colleghi celestiali nelle decisioni più infauste:
Bramò il cuore dei grandi dei di mandare il
diluvio.
Prestarono il giuramento il loro padre An,
Enlil, l'eroe, che li
consiglia,
Ninurta il loro maggiordomo,
Ennugi, il loro controllore di
canali;
Ninshiku-Ea aveva giurato con loro.
(da tav. XI, vv.14-19)
o come in una redazione più recente (500 a.C.) dell'Atramkhasis:
Enlil si rivolse all'assemblea degli dei al completo:
«Venite
tutti a prestare giuramento a proposito del Diluvio!»
Dapprima si fece
giurare An;
quindi giurò Enlil e con lui i suoi figli
(frammento 39099
British Musem, ca. 500 a.C. in p. 597 Bot 1992)
Gli dei emettono quindi verdetti sui vivi ma anche sui morti. Infatti nella tav. VIII del Gilgamesh gli Anunnaki sono definiti giudici dell'anima (v. 201) da propiziarsi con regali offerte nel corso dei riti funebri di Enkidu.
Ogni volta che il gran consiglio divino decide un flagello per gli uomini, gli dei sono tratteggiati come figure capricciose, patetiche, vendicative, ingegnose ed ingenue. La vitalità del pantheon mesopotamico va oltre la teatralità così come possiamo ammirare nell'Atramkhasis:
Il fragore del Diluvio
atterriva gli Dei.
Enki era fuori di
sé
e Nintu tradiva il proprio orrore dalle labbra,
mentre gli Anunnaki, i
grandi dei,
stavano là prostrati da fame e da sete [...].
E gli dei con
lei piangevano la terra.
Sollevata dal dolore,
la dea aveva sete di
birra:
là dove lei si trovava, in lacrime,
essi anche ne avevano, come
montoni
stretti intorno all'abbeveratoio,
le labbra secche per
l'angoscia,
e stremati dall'inedia...»
(Atramkhasis, p. 585-587, Bot 1992)
o come leggiamo in un celeberrimo passo del Gilgamesh:
Gli dei ebbero paura del diluvio,
indietreggiarono, si
rifugiarono nel cielo di An.
Gli dei accucciati come cani si sdraiarono la
fuori!
Ishtar grida allora come una partoriente,
si lamentò Beletili,
colei dalla bella voce:
"Perché quel giorno non si tramutò in
argilla,
quando io nell'assemblea degli dei ho deciso il male?
Perché
nell'assemblea degli dei ho deciso il male,
dando, come in guerra, l'ordine
di distruggere le mie genti?
Io proprio io ho partorito le mie genti
ed
ora i miei figli riempiono il mare come larve di pesci".
Allora tutti gli dei
Anunnaki piansero con lei.
Secche sono le loro labbra; non prendono
cibo!
(da tav. XI,
vv.113-126)
Nergal è signore dell'oltretomba (la «terra di non-ritorno»), della guerra e della pestilenza. E' secondo figlio di Enlil. Sua consorte e co-reggente agli Inferi è Ereshkigal, sorella di Ishtar. Nella teologia assira Ereshkigal è sostituita da Las. Secondo altri miti sua sposa sarebbe Aruru (nota anche come Mammi) la creatrice di Enkidu. A volte la sua figura si confonde con altre divinità come Namtar, visir dell'oltretomba che provoca le sessanta malattie ed è sempre marito di Ereshkigal (ma nell'Epopea di Gilgamesh, Namtar e Nergal sono entità distinte). Oppure come Ninurta, dio della guerra nei miti arcaici.
In epoca assira era noto come Erragal, da cui derivò Erra, dio della guerra protagonista dell'ultima grande composizione babilonese dell'antichità (l'epopea di Erra). Si suppone che il nome greco Herakles derivi direttamente da Erragal (p. 155, Pon 2000). Epigono di Nergal nell'alta Siria era Reshef, dio dell'oltretomba, della guerra, della peste e in generale della morte (celebre il tempio di Reshef a Ebla, p. 160 Mat 1995)
L'oltretomba mesopotamico (kurnugi) è quanto di più opprimente e disperato si possa immaginare. Il povero Enkidu, durante l'agonia che porterà alla morte (tav. VII), ha una visione della dimora di Nergal e Ereshkigal dove egli è destinato. La rappresentazione è drammatica ma di enorme suggestione:
... venni condotto nella casa buia, l'abitazione della Dea degli
inferi,
nella casa della quale chi entra non può più uscire,
per una via
che non si può percorrere indietro,
nella Casa in cui gli abitanti sono
privati della luce;
dove il cibo è polvere, il pane è argilla;
essi sono
vestiti come gli uccelli, ricoperti di piume;
essi non vedono la luce, essi
siedono nelle tenebre.
Nella Casa della polvere, dove io
entrai,
sollevai il mio sguardo e vidi le corone che vi erano
ammucchiate;
osservai le corone di coloro che avevano governato la
terra
da tempi immemorabili;
Nella Casa della polvere dove io
entrai
abitano i Sommi Sacerdoti e i loro accoliti,
abitano i Sacerdoti
purificatori e gli indovini,
abitano gli unti dei grandi dei;
lì abita
pure Etana e vi risiede il dio Sumuqan.
Vi abita la regina degli Inferi, la
divina Ereshkigal...
(vv. 184-200,
tav.
VII)
Curiosamente, nonostante quanto affermato nel Libro dei Sogni assiro
Se un uomo sogna di salire al cielo, i suoi giorni saranno
tagliati.
Se un uomo sogna di discendere nel paese di non ritorno, i suoi
giorni saranno lunghi
(citato in Sap 1996 p. 201)
Enkidu finisce immediatamente agli inferi! Nella tav. XII Gilgamesh farà di tutto per riabbracciare il compagno di tante avventure. Solo grazie all'intervento di Enki Gilgamesh ottiene la liberazione di Enkidu:
Il padre Ea lo ascoltò, si rivolse allora a Nergal, l'eroe
forte:
"Nergal eroe eccelso, vorresti tu aprire una fessura
negli Inferi,
affinché lo spirito di Enkidu possa uscire dagli
Inferi?".
Nergal l'eroe eccelso, ubbidì,
e non appena
egli ebbe aperto una fessura negli Inferi,
lo spirito di Enkidu, come una
folata di vento, uscì fuori dagli Inferi.
(vv. 76-84,
tav.
XII)
Gilgamesh verrà accontentato ma dovrà pagare a Nergal uno scotto terribile, come si apprende dal resto della storia (che non vi anticipo!).
In questo lungo poema, redatto in epoca neoassira, Nergal è celebrato come "guerriero degli dei, che si agita nella sua dimora perché ha bisogno di combattere" (una figura capricciosa molto vicina all'Ares greco o all'Onuris egizio). Approfittando dell'assenza di Marduk ne devasta la città, Babilonia, seminando discordia tra le famiglie. Erra non guarda in faccia nessuno: il giusto come l'empio cadono trappola del caos (metafora della profonda crisi politica di Babilonia all'epoca della composizione dell'opera):
O guerriero Erra, tu hai messo a morte il
giusto,
hai messo a morte l'ingiusto.
Hai messo a morte l'uomo che ha
peccato contro di te,
hai messo a morte l'uomo che non ha peccato contro di
te.
Eppure non ti sei placato...
(riportato in McCall 95, p.
96)
Erra verrà riportato all'ordine e al dovere solo dopo un'assemblea straordinaria degli Anunnaki. Al termine del poema l'acquietato Erra si ritirerà nel suo tempio di Kutha.
Tale era la reputazione di Nergal che brani del poema di Erra, venivano incisi su tavolette a forma di amuleti che poi erano appesi alle mura delle case per tener lontane le malattie e proteggerne i proprietari (McCall 95).
La scalata al trono dell'ade mesopotamico è narrata nel mito di Nergal e Ereshkigal, scoperto per la prima volta da George Smith, che potete trovare su varie antologie (le migliori sono elencate in bibliografia). In questo mito si narra come Nergal, sceso negli inferi, conquistò con l'ingegno la mano della regina degli inferi ed il suo regno. Il tema della discesa agli inferi è comune al più celebre mito di Ishtar agli inferi, bello quanto la saga di Gilgamesh.
Nergal compare anche nell'Antico Testamento (II libro dei Re, 17,30). Da non dimenticare infine che il carattere cupo e capriccioso di Nergal ne ha fatto toponimo maligno saccheggiato dalla letteratura popolare (1).
Dio patrono dell'omonima capitale assira che sorgeva sulla riva del Tigri (2).
Le divinità assire sono un'assimilazione dalla religione dei popoli assoggettati dagli assiri con poche varianti se non sui nomi. La pratica del sincretismo era comunissima. In pratica Assur nasce come divinità locale ma, con l'aumento del prestigio politico-militare durante l'impero neoassiro, assurge a titolare del trono divino.
E' celeberrima l'ode di Sargon II al dio Assur (714 a.C.) dove il sovrano traccia un glorioso rapporto della sua campagna contro l'Urartu. Il testo era probabilmente da leggersi nel tempio della divinità e di fronte alla cittadinanza. E' una cronaca romanzata ma fortemente suggestiva (non quanto la shilouette di Barbara al tramonto...) come nel passo che vi propongo:
«Le truppe del nemico si erano assiepate sul monte Ua-ush, la
cui cima arriva alla regione delle nuvole. Fin da tempi immemorabili nessun
essere vivente ha attraversato quel luogo, nessun viandante ha mai visto la
parte più interna. Nemmeno gli uccelli del cielo lo sorvolano, né vi
costruiscono il nido per insegnare ai loro piccoli a distendere le ali. La vetta
è sguainata come la lama di un pugnale sugli altri monti e vi rilucono sopra le
stelle di Arco e Sirio. Il volto della montagna è di ghiaccio e chi tenta di
attraversarla è colto dalla tempesta, la sua carne è bruciata dal gelo. Su
quella montagna il nemico aveva progettato di tendermi una trappola...»
(p.
133, Pon 2000;
adattamento T. Porzano)
In questa cronaca Sargon II si rivolge ad Assur nel modo seguente:
«Salute a te Assur, padre degli dei, salute a tutti gli dei e le
dee che abitano i templi della città di Assur, salute alla città e alla sua
gente...»
(p. 130, Pon 2000)
In effetti, nei testi assiri Assur è definito «re degli dei » e spesso la «grande montagna». Frequente è il titolo di «Enlil degli dei» o a volte lo si identifica con questo dio (p. 170 Fal 1992). Nella teologia più antica Assur è sposo della dea Sherua, poi sostituita da Mullissu.
E' noto che nella versione assira dell'Enuma Elish il protagonista cambia nome e non è più Marduk ma Assur! In effetti Marduk godette in Assiria di alterne fortune: fu generalmente affiancato ad Assur al vertice del pantheon, ma durante il regno di Sennacherib, distruttore di Babilonia, fu definitivamente declassato. Un testo assiro, intitolato il processo di Marduk, rappresenta la divinità babilonese come imputato in un processo condotto da una corte divina assira! (p. 171 Fal 1992)
Tuttavia un'analoga sorte subirà Assur con la caduta dell'impero assiro. Dopo una brevissima parentesi neobabilonese con ritorni di fiamma di Marduk (con Nabucodonosor) e di Sin (con Nabonedo) ai vertici del pantheon, con l'avvento dell'impero persiano le divinità assiro-babilonesi verranno spazzate a favore della new entry Ahura Mazda.
Ishtar, in sumerico Inanna, è probabilmente la divinità più ammaliante e controversa. Ella visse nel corso dei secoli una profonda metamorfosi. Da dea protettrice degli antichi centri rurali protourbani sumerici (come Eridu e Uruk) passò a crudele emblema dello sviluppo cittadino imperiale, divenendo la dea più popolare dell'intera Asia occidentale. Presso gli assiri, in veste di dea della guerra, era popolarissima e godeva di numerosi appellativi: a Ninive era venerata col nome di Mullissu, ad Arbela col nome di Shatru, a Kalhu con l'appellativo di Bid-Kidmuri (p. 171 Fal 1992).
Il nome Ishtar deriva dal semitico Attar/Attart (divinità androgina associata al pianeta Venere). Fu nota come Shaushga tra gli ittiti, Ashtoreth fra gli ebrei, Atar-Ata fra i fenici (moglie di Baal, signore dell'olimpo fenicio) e Astarte tra i greci (3). Erodoto riferisce che Militta era il nome assiro di Afrodite (Storie, vol. I § 199).
E' figlia di An e Ki, ma in epoca babilonese Isthar è figlia di Sin, dio lunare, sorella gemella di Shamash, il Sole, e sorella della temutissima Ereshkigal, matrona dell'oltretomba.
Già nei miti più arcaici si riflettono le sue qualità ed attitudini. Per esempio Ishtar ha l’hobby di andare in visita presso altre divinità, cacciandosi spesso nei guai ma uscendone sempre vincitrice (visita a Enki, visita a Ereshkigal).
Nell’antichissimo mito di Inanna ed Enki (che trovate in Bot 1992, pp. 236-266) si trasfigura il passaggio del patrimonio culturale dei primi nuclei urbani alle nuove città-stato sumeriche. La dea, non paga della rozza vita della steppa si converte alla vita cittadina ottenendo da Enki - protettore di Eridu, città primordiale del 4000 a.C. - i “poteri” (me). Questi poteri altro non sono che le basi della vita culturale cittadina: la pastorizia, la scienza scribale, l’artigianato, le regole di comportamento.
I "doni" di Enki a Inanna saranno portati nella città Uruk, e qui custoditi nel santuario della dea: l’E-anna ("casa del cielo", da non confondere con Eannatum della Stele degli Avvoltoi). Questo tempio darà lustro alla città di Uruk al pari di altre città santuario (come Sippar o Nippur). Secondo il mito, fu Gilgamesh a circondare l'Eanna di mura e a riempirlo di tesori:
Fu Gilgamesh a costruire le mura di Uruk e del santo
Eanna,
luogo splendente e sede di tesori.
Avvicinati all'Eanna,
l'abitazione della dea Ishtar
mai nessuno, forse anche un re, potrà
costruire
un monumento che lo eguagli!
(tav. I, vv. 10-16)
Si ritiene che la sua città sacra Uruk corrisponda alla biblica Erech. Ma molti altri furono i suoi centri di culto: Kish, Agade, Arbela. Il più celebre tempio amorreo dedicato a Ishtar era quello di Ebla (che aveva strettissimi legami culturali con Kish), ancora noto in Mesopotamia secoli dopo la scomparsa della città avvenuta nell'età del Bronzo (p. 188 Mat 1995). «Dea di Ebla» era appunto il titolo di Ishtar nell'accezione di divinità protettrice della regalità, ricordata nelle liste divine assire intorno al XIII secolo (p. 64 Mat 1995).
Già nella visita a Enki Inanna mostra le attitudini capricciose che vedremo nel Gilgamesh. Nel Libro dei Sogni assiro infatti «la mano di Ishtar» era sinonimo di sventura (p. 197 Sap 1996) e, alla lettera, indicava una malattia venerea. La dea, in viaggio per raggiungere l’amante Dumuzi (dio protettore dei pastori) compie un’interessata deviazione a Eridu. In pratica Dumuzi è destinato a essere tradito perché Inanna giudica la vita nella steppa rozza e indegna della propria bellezza. Epiteto di Dumuzi era Amaushumgalanna ("il dio la cui madre è un drago nel cielo").
Dumuzi non è il solo giocattolo nelle mani di Inanna. Anche Enki, stordito dalla birra, cede al fascino della dea offrendole numerosi poteri divini. Vediamone alcuni:
Alla santa Inanna, mia figlia, offro,
senza che nulla mi
trattenga,
la Veridicità, la Discesa agli Inferi,
il
Ritorno dagli Inferi, il Travestitismo,
l’abito policromo, la capigliatura
annodata sulla nuca,
l’erotismo, il baciare amoroso,
l’arte del canto e
l’ufficio degli Antichi…
(mito di Inanna e Enki, ibid. pp.238-239)
Notate che Inanna apprende da Enki l’arte del ritorno dagli Inferi. E' forse da qui che Jan Kott ha pensato di associare alla dea la figura di Persefone. Ma secondo me l'abbinamento è errato come poi spiegherò.
Insieme alla tavoletta del diluvio, la visita agli Inferi di Ishtar è uno dei primi miti scoperti dagli assiriologi nell'800. Della sua importanza se ne accorse nel 1872 George Smith che lo usò per colmare una lacuna dell'epopea di Gilgamesh. Infatti egli disponeva della tav. VI ma non della VII tavola. L'argomento della VI è l'incontro di Gilgamesh e Ishtar dove l'eroe oltraggia la dea ricordandole tutti i suoi amanti finiti in disgrazia. Un pretesto per accennare ad altri miti che vedono protagonista Ishtar.
Visto che la saga era già ricca di interpolazioni, Smith ipotizzò che la VII tavola contenesse anche la "discesa agli inferi". Oggi sappiamo che la tav. VII parla d'altro. Ma possiamo perdonare tranquillamente a Smith questa sbavatura nella sua geniale ricostruzione dell'epopea. Del resto la "discesa" rimane una delle più creazioni di maggior successo della letteratura mesopotamica. La prima versione sumerica (con Inanna protagonista, ca. 2000 a.C.) subì un rifacimento in epoca babilonese (con Ishtar protagonista) che la arricchì drammaturgicamente con l'introduzione della figura di Geshtinanna.
La storia rivela somiglianze col mito di Nergal e Ereshkigal, con la tav. XII e con il poemetto sumerico Enkidu agli Inferi. In più è ripresa nella mitologia greca nella vicenda di Adone e Persefone e quella di Alcesti e Admeto.
Ecco la storia: Ereshkigal, signora dell'oltretomba, ha appena perduto il marito Gugalanna (il Toro Celeste) e Ishtar si reca a portarle condoglianze. Nella discesa agli Inferi Ereshkigal deve liberarsi di tutte le sue armi d'offesa e di difesa. Resasi inerme viene imprigionata da Ereshkigal che evidentemente non aveva gradito la visita (in fondo, se interpretiamo il Gilgamesh, è a causa di Ishtar che il Toro Celeste è trascinato in uno scontro mortale).
L'assenza della dea della procreazione provoca il blocco delle nascite sulla Terra. Gli Annunaki intervengono ma neppure loro possono violare una regola ferrea degli Inferi: ogni anima che torna in vita deve essere sostituita agli Inferi.
Così Ishtar offre in cambio del proprio rilascio il povero Dumuzi. Non senza ironia apprendiamo che la dea preferisce disfarsi dell'amante piuttosto che sacrificare l'ancella personale, il menestrello e il capitano delle guardie. Pare però perché Dumuzi venisse scoperto felice e beato fra le donne, per nulla preoccupato della sorte della sua amata (p. 141 Sap 1996). Naturalmente Dumuzi non ne vuole sapere di finire sottoterra e si nasconde. Vengono dunque a cercarlo demoni, spietati come la loro padrona Ereshkigal:
... demoni piccoli, come giunchi appena spuntati, demoni grossi come canne mature, un demone davanti con in mano un bastone, un demone dietro con la mazza frantuma-cranio alla cintura. Quelli di questa razza disdegnano le offerte di cibo, disdegnano le bevande degli uomini, nessuna cosa lieta li attrae, nessuna pietà li commuove, senza gioia e senza dolore strappano la sposa dalle braccia dello sposo, il neonato dal seno della madre. (p. 30, Pon 2000)
Dumuzi non può sfuggire a simili predatori ma, colpo di scena, emerge la commovente figura della sorella Geshtinanna. Costei intercede per il fratello ottenendo che venga trattenuto nel "mondo di sotto" solo sei mesi l'anno ed offrendosi di sostituirlo agli inferi per gli altri sei. Poiché Dumuzi è dio della vegetazione degli animali d'allevamento, col suo ritorno le piante possono rifiorire e gli animali tornare a procreare.
Possiamo ora spendere qualche parola sulle similitudini di questo bellissimo mito con la tradizione greca. Ishtar può essere assimilata a Admeto, re di Fere, che grazie all'intervento sia divino (il dio Apollo) sia umano (la moglie Alcesti) riesce a salvare la pelle dagli Inferi. Dumuzi (ma anche Geshtinanna) ispirano Alcesti, potente figura femminile che si sacrifica nel nome dell'amor coniugale. Vedremo che anche Ninlil, moglie di Enlil scende agli inferi per amore del marito.
Il saliscendi a cui Dumuzi deve sottostare nel corso dell'anno lo avvicina certamente ad Adone (il cui ritorno segna l'inizio della primavera). Geshtinanna inoltre è vicina a molte figure tragiche femminili sacrificate forse, più che per giuste cause, per il meschino attaccamento alla vita dei loro uomini: Ifigenia, Polissena (Ecuba), Ctonia (Eretteo), Macaria (Eraclidi).
Se ci pensate un attimo questo mito sostanzialmente si occupa della fedeltà come virtù, tema comune al Simposio di Platone al quale idealmente conduce.
Ma anche i demoni che acciuffano Dumuzi hanno un loro epigono greco. Thanatos, figlio della Notte, è infatti il demone alato che viene a prendere Alcesti per portarla nell'Ade. Il modus operandi di Thanatos è molto vicino a quello del demone-aquila Anzu che incastra Enkidu nella Casa della Polvere (tav. VII).
Un ultima nota su questo straordinario mito è il corto circuito crono-logico che nemmeno Gödel potrebbe risolvere:
Abbiamo accennato al poemetto Enkidu agli Inferi, certamente uno dei migliori della letteratura sumerica. La prima parte di questo mito ha per protagonista la dea (Inanna in sumerico). Nel suo giardino infatti, cresce l'albero khalub. Purtroppo la pianta viene infestata dall'aquila Anzu che vi costruisce il nido. Non solo, un serpente comincia ad annidarsi tra le sue radici. Inanna chiede aiuto a Shamash ma egli rifiuta, allora si rivolge a Gilgamesh, che in questo mito è suo fratello. L'eroe abbatte l'albero e scaccia i demoni che lo infestavano. Improvvisatosi falegname Gilgamesh costruisce un trono e un letto per la sorella. Per sè un tamburo e la bacchetta del potere (pukku e mekku). Tuttavia il pianto delle vedove dei mortali, tali per la forza distruttiva del tamburo, fa precipitare il pukku e il mekku sottoterra. Enkidu sarà mandato a recuperarli ma la missione, come vuole la tradizione, finirà molto male.
Il pianeta Venere era noto fin dall'antichità. I sumeri lo chiamavano Ninanna, la signora del cielo. Più tardi venne chiamata Dilbat, la «più brillante tra le stelle». Ma in pratica Inanna, tra le sue molte funzioni, era già identificata con il pianeta Venere, sia come la stella del mattino che annuncia la guerra che come la stella della sera che annuncia l'amore.
La fortuna di Ishtar fu inarrestabile in antichità nonostante l'alternarsi delle dominazioni assire e babilonesi. Per esempio in epoca assira Ishtar assunse veste di divinità guerriera. Negli Annali di Assurbanipal, conservati un tempo nella biblioteca di Ninive insieme al Gilgamesh, troviamo l'episodio del sogno di un shabrû (un sognatore di professione) che descrive l'apparizione della dea invocata per propiziarsi la guerra contro l'Elam:
La dea Ishtar che abita nella città di Arbela
è entrata. A
destra e a sinistra pendevano faretre,
teneva l'arco nella sua mano
e una
spada aguzza sguainata per fare battaglia...
(citato in Sap 1996 pp.
69-71)
Sotto il regno di Nabucodonosor (604-562 a.C.) venne costruita a Babilonia la porta di Ishtar per celebrare la liberazione dal dominio assiro. La porta è stata ricostruita a Berlino diventando la massima attrazione del Vorderasiatisches Museum di Berlino (senza nulla togliere alla ricostruzione dell'altare di Pergamo che occupa un'altra sezione del museo berlinese). Attraverso essa passava la processione annuale di Marduk. Secondo le iscrizioni della porta, attorniate da meravigliosi bassorilievi smaltati, le fondazioni della porta sprofondavano fino all'Apsu!
Enki, in accadico Ea, è il dio della sapienza e delle arti. E' figlio di Tiamat, il mare primordiale di superficie, come narra l'Enuma Elish. Sua consorte è Damkina, madre di Marduk. Enki propone a Enlil la creazione dell'uomo per alleviare la fatica degli dei, come narra l'Atramkhasis. Nella sfida tra Enki e Ninmah (in Bot 1992, pp. 191-202) realizza lo stampo per creare l'uomo. La dea Ninmah, provando a eguagliarne la potenza, gioca con lo stampo di Enki ottenendo però solo creature imperfette (il cieco, lo storpio, la donna sterile, ecc.). Ma il saggio Enki, che è custode della tavola dei destini, sa assegnare un ruolo anche ad esse come, per esempio, al cieco destinato ad essere cantore (un po' come nell'epica greca).
Molti miti celebrano la sua sapienza, come pure la capacità nell'inganno - spesso a spese di Enlil (Enki e Eridu, Enki e l'ordine del mondo, Enki e Ninhursag, tutti in Bot 92). A volte però anche Enki è ingannato come nel mito di Inanna ed Enki (Bot 1992, pp. 236-266) dove il dio, inebriato dagli effetti della birra, cede tutti i suoi poteri (me) a Ishtar.
Altre volte Enki sceglie male i collaboratori come nel mito di Anzu (in Bot 1992, pp. 412-443). Enki raccomanda il mostro Anzu al servizio di Enlil. Ma Anzu tradendo la fiducia ruba la tavola dei destini gettando l'universo nel caos. Interviene Ninurta, altro araldo di Enki, per sconfiggere Anzu. Ma Ninurta, deluso dalla magra ricompensa, cospirerà contro Enki.
Il santuario più importante di Enki si trovava a Eridu (4), ed era chiamato E-Abzu (casa dell'abisso). Infatti secondo la concezione cosmologica sumerica Enki era dio delle acque sotterranee vivificatrici (abzu, apsu in accadico). Si ritiene che il suo nome originario fosse En-kur (signore del sottosuolo) da cui sarebbe derivato En-ki. Nell'Enuma Elish si narra come Enki diviene signore dell'abisso Apsu. Dall'Apsu uscirono gli apkallu (uomini-pesce) per portare la civiltà tra gli uomini ancora selvaggi secondo il mito dei Sette Saggi (p. 205 Bot 92). La tradizione attribuiva proprio ai sette saggi la posa delle fondamenta di Uruk (v. 19, tav. I). Il più noto dei sette saggi è un altro eroe mitico: il saggio Adapa. Altro noto apkallu è Sin-leqi-unnini che la tradizione vuole come autore del canone di Gilgamesh.
Proprio nell'Apsu, dimora di Enki, si getta Gilgamesh, istruito da Utnapishtim, per recuperare la pianta dell'irrequietezza (vv. 272-274, tav. XI). Tuttavia il ruolo di Enki è davvero marginale nell'epopea ninivita (per esempio nel consiglio degli Anunnaki non apre mai bocca), forse a testimonianza di un declassamento della divinità in epoca neoassira.
Enlil, in accadico Ellil, è figlio di An, ed è l'arcaico dio dell'aria (in sumerico lil). Una volta preso il posto di An alla guida degli Anunnaki, diventa signore di tutto l'universo. Sua sposa è Ninlil (o Mulliltu) e con lei genera numerose divinità.
Un bel mito celebra la storia di Enlil e Ninlil. Enlil, accusato di empietà, è rinchiuso agli inferi. Ninlil allora lo segue sottoterra. Lì danno alla luce Sin (dio lunare), Nergal e Ninazu. Ninazu non è obbligato a restare ma grazie al suo sacrificio Sin abbandonare gli Inferi e levarsi nel cielo notturno.
Sua è la tavoletta dei destini a cui non potevano sottrarsi ne uomini né dei. Egli è dio della tempesta e l'artefice del grande Diluvio che si abbatte sugli uomini (tav. XI). E' lui a porre il mostro Khubaba a guardia della foresta dei cedri.
Era venerato nell'Ekur, santuario di Nippur (come ricordato nella tav. VI). Suo corrispettivo nell'alta Siria (Mari/Ebla) era Dagan il cui santuario era a Tuttul. Curiosamente l'impero fondato da Sargon, per non offendere nessuno, venne consacrato a entrambi: la Bassa Mesopotamia a Enlil, la regione di Mari ed Ebla a Dagan.
Il suo centro di culto era considerato punto di unione tra il cielo e il mondo sotterraneo. Enlil è infatti signore della terra e simbolo del potere reale. Per questo il suo santuario era tenuto in grandissima considerazione sia presso i sumeri che presso gli accadi. Sul libro dei Sogni assiro leggiamo che
«Se un uomo nel suo sogno vede il dio Enlil avrà lunga vecchiaia
»
(citato in Sap
1996 p. 197)
La citta-sacra di Nippur, fondata prima del 4000 a.C., non ebbe mai reale peso politico-militare, ma fu importante centro religioso e sede di scuole scribali. Infatti gli scavi di Nippur hanno portato alla luce migliaia di documenti tra cui molte copie di testi letterari (p. 160 Pon 2000). Nippur vide crescere il proprio prestigio religioso e culturale costantemente fino al 1700 a.C., quando fu soppiantata in tale ruolo da Babilonia, città santuario di Marduk.
Assistiamo quindi a un'evoluzione del sistema mitologico che non è più dominato da Enlil ma da Marduk (5). Nel nuovo sistema babilonese Enlil riceve un trattamento non certo di favore ed appare severo, a volte stolto.
La severità di Enlil era proverbiale. Assistiamo ad esempi nella tav. XI, o nel poemetto sumerico Enkidu agli Inferi, quando nega qualsiasi aiuto al supplice Gilgamesh. Inoltre, se nelle versioni sumeriche del diluvio Enlil divideva con An la responsabilità del cataclisma, nell'Atramkhasis egli è il solo ad infliggere al genere umano il tormento delle piaghe e del Diluvio (p. XIV Bot 92).
Enlil nell'Atramkhasis è incurante delle conseguenza dell'estinzione degli uomini, da cui alla fine dipendeva il sostentamento degli stessi dei. Alcune interpretazioni (p. XV Bot 92) vedono però nel "brusio" degli uomini - che tanto affligge Enlil - una metafora del'intrapendenza umana e del suo bisogno di indipendenza dal divino.
Inevitabile che Enlil esca di scena nelle elaborazioni teologiche babilonesi che fanno di Babilonia la nuova città primordiale, sacra a Marduk. Marduk è proclamato figlio di Enki, l'ingegnere del mondo, e suo figlio Nabu (6) eredita le prerogative culturali del nonno.
Nell'epopea di Erra (VII secolo a.C.) Enlil fa una fugace apparizione come padre dello scalmanato portatore di flagelli e inondazioni (ma nemmeno Marduk riceve un bel trattamento, essendo l'epoca composta in un periodo di profonda crisi politica e incertezza religiosa).
Tutti i miti di epoca pre-babilonese celebrano invece la gloria di Enlil. Già nell'epopea di Gilgamesh vediamo con quanta disinvoltura trasformi Utnapishtim e sua moglie in immortali. Analogamente si comporta nella versione sumerica del diluvio (mito di Ziusudra) destinando l'immortale Ziusudra a vivere nel reame di Dilmun. Egli è quindi creatore ma anche legislatore. Tutto l'universo (il ciclo delle stagioni, il moto degli astri, le regole di comportamente, ecc.) è regolato dalle sue leggi. In particolare egli è il signore della tavoletta dei destini con la quale decide la fortuna o la disgrazia di uomini e dei. Spesso affida questa tavoletta a celesti custodi (Enki, Anzu, Ninurta, ecc.) che inevitabilmente la smarriscono dando pretesto a nuove trame mitiche.
Shamash, in sumerico Utu, è dio del sole e della giustizia. Non è un caso che Hammurabi (re di Babilonia, 1792-1750 a.C.) gli dedichi il suo codice delle leggi. La stele di Hammurabi è famosa per il bassorilievo che ritrae il sovrano in piedi di fronte alla divinità benedicente. La stele, una volta conservata nel tempio di Shamash a Sippar (menzionato nella tav. VI), trafugata durante un saccheggio, ritrovata nella capitale persiana di Susa (p. 164 Pon 2000), recuperata da Layard nell'800, è oggi ammirabile al British Museum di Londra.
Shamash era venerato anche a Larsa. In alta Siria venne assimilato al culto di Baal, figlio di Dagan, venerato nella città sacra di Baalbek nota in età ellenistica come Heliopolis ("città del sole") dove ovviamente la divinità si assimilò ad Apollo. Per completezza ricordo che la regione subì a più riprese la dominazione degli egizi, presso i quali la divinità solare era nota come Ra. I legami culturali tra la Siria e l'Egitto sono testimoniati dai ritrovamenti di manufatti egizi nella necropoli reale di Ebla (p. 184 Mat 1995).
Padre di Shamash era Sin, in sumerico Nanna, dio della luna e governatore dei passi di montagna, venerato a Ur e Harran.
Nell'Epopea di Gilgamesh Shamash compare ripetutamente in numerose situazioni poiché è dio protettore di Gilgamesh. Come dio della giustizia risolve la disputa tra l'assemblea degli anziani, capeggiata da Enkidu, e l'assemblea dei giovani, guidata da Gilgamesh al termine della tav. II. Durante la supplica di Ninsun a Shamash della tav. III apprendiamo il nome della moglie del dio sole: Aia ovvero l'aurora.
Nella tav. IV, i due eroi eseguono nel corso del loro viaggio alla Foresta dei Cedri, numerosi sacrifici per propiziarsi i favori del dio prima dello scontro con Khubaba. Shamash si accerta che i due non si perdano d'animo inviando ogni sera un demone della sabbia (forse Ziqiqu, dio dei sogni). La creatura trasmette ad Enkidu il potere di interpretare i sogni di Gilgamesh. Il significato dei sogni è sempre il medesimo: Shamash guarda con ottimo auspicio al successo dell'impresa.
Shamash è avvocato difensore di Enkidu durante il consiglio degli Anunnaki all'inizio della tav. VII (mutila) che l'aveva condannato. Nella tav. VII lo ritroviamo trasfigurato in angelo del trapasso in un drammatico dialogo con Enkidu. Successivamente è oggetto di venerazione nei riti funebri della tav. VIII.
Nella tav. IX è la luce di Shamash a indicare la via attraverso l'oscurità quando Gilgamesh inizia la sua ricerca di Utnapishtim. Al termine della stessa tavola Gilgamesh giunge nel paradiso terrestre babilonese che altri non è che il giardino del dio Shamash (il passo è famoso per la fantasia descrittiva, p. es. grappoli di diamanti che nascono sugli alberi come i frutti). Nella straordinaria tav. X Utnapishtim è sorpreso dall'arrivo di Gilgamesh perché solo Shamash, "il guerriero", è capace di attraversare il mare (come Apollo, nella mitologia greca, 7).
Secondo i babilonesi, ai limiti estremi della volta celeste il cielo appoggiava sulla Terra. Qui si aprivano due porte incastrate in montagne gemelle (Mashu) ma poste agli antipodi terrestri. Shamash superava al mattino la prima per viaggiare durante il giorno lungo la volta celeste. La seconda era oltrepassata la sera quando Shamash scendeva agli Inferi. Durante la notte il dio navigava sull'Apsu a bordo di una barca sacra (frequentemente rappresentata nei sigilli) che lo riportava alla prima porta per riemergere all'alba in superficie.
Anche Sin percorreva la propria strada nel cielo circondato dalle stelle che erano considerate un gregge che An conduceva al pascolo ogni notte nella volta. In tale gregge saltellano cinque arieti, i primi cinque pianeti già conosciuti agli astronomi babilonesi.
Il mito è noto col titolo "Enuma Elish", equivalente alle prime parole del poema "Quando lassù...". Come per il Gilgamesh e l'Atramkhasis, si contano moltissime pubblicazioni moderne di quest'opera (studi, traduzioni e commenti) a causa del forte interesse riscosso, oltre al circolo degli specialisti, presso orientalisti, biblisti e storici delle religioni.
Visto che mi viene ripetutamente chiesto dai navigatori Web, vi elencherò alcune edizioni in italiano del mito. L'edizione integrale può essere letta in Uomini e dèi della Mesopotamia: alle origini della mitologia, cap. XIV, di J. Bottero e S. N. Kramer, Einaudi ed. 1992. Una ottima versione non integrale è nel testo Miti Mesopotamici, pp. 81-91, di H. McCall per i tipi Mondadori, accessibile in molte biblioteche. La selezione è di per se pregevole poiché evita al lettore le frequenti ripetizioni dovute alla liturgia religiosa dove il poema trovava ideale condizione di lettura. Faccio osservare che, per una svista dell'autrice, il poema non viene mai nominato col titolo originale Enuma Elish.
Una bella ed illustrata edizione in prosa del mito della creazione è nel testo di Simonetta Ponchia, Gilgamesh: il primo eroe, antiche storie della Mesopotamia, pp. 15-22, per i tipi Nuove Edizioni Romane.
L'Enuma Elish godette di larga fama già in epoca antica, come dimostrano i manoscritti portati alla luce in numerosi siti archeologici. Le tavolette più antiche (1000 a.C.) sono state trovate ad Assur; redazioni più recenti (ca. 650 a.C.) provengono dalle biblioteche di Ninive, Kish e Sippar. Anche dopo la caduta dell'impero neobabilonese (539 a.C.) si continuò nel paese a ricopiare quest'opera, così celebre da essere ricordata da Damascio, filosofo neoplatonico vissuto ad Atene nel V secolo d.C. (p. 641, Bot 1992).
Altra prova della fama e dell'importanza dell'opera è data dal fatto che
tutti i manoscritti e frammenti a noi giunti riproducono esattamente lo stesso
testo. Esiste quindi un'unica versione canonica.
L'unica "variante", se così possiamo dire, consiste nell'edizione assira sotto
il regno di Sennacherib (VII secolo a.C.). L'investitura del
potere temporale assiro avvenne tramite la revisione del mito che condensava la
tradizione teologica dei popoli sottomessi. Ma l'audacia degli scribi di
Sennacherib non si spinse oltre la sostituzione del nome dell'eroe
Marduk e dei suoi consanguinei con quelli del loro dio
nazionale Assur,
e di quelli della sua cerchia divina (p. 642, Bot 1992).
L'opera è dalla critica unanime ritenuta un capolavoro. Per un'analisi delle contaminazioni dell'Enuma Elish sull'epica successiva si vedano pp. 42-46 di San 94. I primi versi del poema sono a mio parere strepitosi. Accennano a divinità di origine antichissima: Apsu, il mare sotterraneo su cui poggiava la terra secondo i Mesopotamici, e Tiamat il mare di superficie (il tehom dei primissimi versi della Genesi):
Quando Lassù il cielo non aveva ancora un nome,
e Quaggiù la
terra ferma non era ancora chiamata con un nome,
soli,
Apsu-il-primo, loro progenitore,
e
Madre-Tiamat, genitrice per tutti loro,
mescolavano insieme
le loro acque:
né banchi di canne vi erano ancora raggruppati
né canneti
vi erano distinguibili.
(vv. 1-6, traduzione di Samuel Noah Kramer, da Bot 1992, p. 642)
Sia l'abisso Apsu, che l'oceano Tiamat sono destinati a soccombere per far posto alle nuove generazioni divine. Apsu, ucciso da Enki, diviene dimora sotterranea del dio della sapienza. Tiamat, fatta a pezzi da Marduk, verrà usata come materiale da costruzione per il nuovo universo (8). Per esempio con la saliva di Tiamat verranno fabbricati gli elementi atmosferici, e dagli occhi di Tiamat i due fiumi della Mesopotamia: il Tigri e l'Eufrate.
Non si possono non notare affinità con altre tradizioni, come quella fenicia dove Baal uccide il padre El e quella greca, raccontata da Esiodo, dove Zeus uccide il padre Crono.
Il mito babilonese della creazione venne scritto per uno scopo principale: celebrare la gloria di Marduk. Siccome Marduk è patrono di Babilonia il poema difficilmente può essere stato composto prima di Hammurabi (XVIII sec. a.C.).
Celebre è la rappresentazione di Marduk nell'Enuma Elish: ha quattro occhi, quattro orecchie, sputa fuoco dalla bocca ed è di altezza imponente così che nessuno possa sfuggire alla sua volontà.
Erodoto, visitando Babilonia nel V sec. a.C., descrisse la magnificenza del tempio di Marduk (chiamato Zeus Belo dallo storico greco). Il tempio, detto Esagil («casa che solleva la testa al cielo») era una ziggurat d'altezza formidabile. Praticamente una vera "torre di Babele":
«In mezzo al tempio si erge una torre massiccia, che misura uno
stadio sia di lunghezza sia di larghezza, e su questa è posta un'altra torre, e
su questa un'altra, sino a otto torri. La strada che vi sale è costruita
all'esterno a spirale, e circonda tutte le torri»
(Erodoto, riportato in Dag 1997, p.14)
Racconta Strabone che Alessandro, che diede alle fiamme Persepoli, risparmiò invece Babilonia al punto da volerla capitale del nuovo impero ellenistico. Progetto mai realizzato a causa della prematura morte del macedone (p. 225 Dag 1997).
Se un mito celebra Marduk, un altro lo butta nella polvere. In epoca neoassira Babilonia è preda di eserciti stranieri ed in balia di una forte crisi economica e sociale. Gli assiri si prendono gioco di Marduk nel processo di Marduk, mito dove l'impianto accusatorio contro Marduk è nelle mani della maggiore divinità Assur. La stessa popolazione babilonese si sente abbandonata del proprio nume tutelare e l'Epopea di Erra immagina i motivi mitici dell'abbandono. E' una rappresentazione polemica della divinita, un vecchio impotente che cammina strascicando i piedi. La sua corona è appannata e i suoi ornamenti sono sporchi. Un dio che lascia Babilonia, ingannato da Erra (Nergal) alla ricerca di inesistenti artigiani-demoni che possano lustrare la sua argenteria!
Paredra di Marduk era Zarpanit, dea che garantiva la gloria del nome e l'abbondanza della discendenza. Presso i fenici e gli ugaritici Marduk e Shamash si fondono nella figura del preesistente Bel (Baal). Nella Bibbia ritroviamo Marduk trasformato in Mardocheo, che vive con la nipote Ishtar (Ester). Fra le tante suggestioni bibliche di Alfred Döblin in Berlin Alexanderplatz non poteva mancare il riferimento a Mardocheo:
Nella città di Susa viveva un vecchio di nome Mardocheo che aveva
allevata Ester, la figlia di suo zio e la ragazza era formosa e di
bell'aspetto...
(da Berlin Alexanderplatz, ed. Rizzoli 1995, p. 24)