Può stupire come essi siano arrivati a noi direttamente. Non abbiamo, per esempio, testi originali dei poemi omerici, risalenti all'epoca della loro ultima stesura (VII secolo a.C.) ma solo "copie" frutto del lavoro millenario di copisti romani e bizantini. E così, anche se le storie mesopotamiche possono non essere esattamente coeve col periodo della loro stesura ci sono giunte attraverso documenti che rappresentano la "preistoria" della scrittura. I documenti in cuneiforme sono "rozze scalfitture" dell'argilla o della pietra che paiono impronte di dinosauro ma che sanno brillare di luce propria svelando miti e storie di altissimo valore letterario. |
|
Il primo assiriologo a postulare che la scrittura cuneiforme avesse un'origine non semitica fu uno dei protagonisti della famosa traduzione a quattro, Edward Hincks, nel 1852. Da allora gli studiosi hanno accumulato prove su prove a sostegno dell'invenzione operata dai sumeri tra il IV e il III millennio del primo sistema valido di scrittura (p.5 Bot 92). Su questo aspetto ritorneremo più avanti.
Gli stessi sumeri si preoccuparono di attribuire la paternità dell'invenzione della scrittura a un loro eroe leggendario: Enmerkar. Un celebre mito narra le traversie di questo mitico sovrano di Uruk (antenato dello stesso Gilgamesh) alle prese con Ensukeshdanna, re di Aratta (2). Un messaggero è inviato da una corte all'altra per riferire messaggi sempre più minacciosi. Ma i discorsi sono sempre più lunghi e il messaggero fa fatica a ricordare tutte le parole...
Il Re di Uruk parlò come un torrente in piena. Il suo discorso
crebbe a dismisura e il messaggero, la cui lingua si era fatta pesante, non
riusciva a ripeterlo. Le parole non potevano perdersi nel vento perché il
signore di Aratta doveva conoscere tutto ciò che Enmerkar sentiva e pensava.
Allora Enmerkar prese dell'argilla, l'appiattì come una tavoletta e vi scrisse
sopra. Nessuno prima di lui aveva mai scritto un messaggio, la scrittura ancora
non esisteva.
(da Enmerkar vs. Ensukeshdanna, p. 65 Pon 2000)
L'importanza della scrittura fu tale che molte divinità sumeriche furono investite del mandato di "soprintendenti". Il dio Nabu era patrono degli scribi; mentre la dea Nidaba fu nume tutelare degli archivi reali. Nindub era dio-architetto che disegnava progetti templari sulle tavolette. Belet-Seri era la dea-scriba assunta come "segretaria" dei giudici dei morti, a lei spettava il compito di scrivere nell'argilla il destino del defunto nell'aldilà.
Al di là del mito, la scrittura nacque come supporto mnemonico utilizzato nei primi centri urbani in espansione. Essa servì inizialmente a contare (il numero di tacche equivale alla quantità di oggetti di cui voglio tenere il conto). In seguito servì per registrare direttamente il computo e descrivere gli oggetti contati (quanti sicli di grano abbiamo raccolto? proviamo a registrarlo mettendo il disegno di una spiga a fianco delle tacche). Ma nuove necessità accelerarono lo sviluppo della scrittura. Infatti questo semplice strumento di promemoria conteneva germi dalle grandi potenzialità.
Se la scrittura arcaica approssimava i modi con cui il pensiero vedeva i crudi fatti era inevitabile che, rileggendo i fatti, il pensiero traesse impulso a cercare le cause dei fatti registrati (ipotesi) o immaginare fatti che potevano accadere (previsioni). In parole povere, la lettura stimolava astrazione e questa sensazioni ed emozioni.
Ma l'astrazione richiedeva una forma più raffinata di rappresentazione scritta (come de-scrivere un'emozione, una sensazione, un sogno, un'intenzione se i miei strumenti di scrittura consentono solo di elencare oggetti animati?). L'evoluzione della scrittura era quindi il passo necessario per dare forme di rappresentazione più consone al pensiero che "ripensava sé stesso".
Molti testi e siti Internet descrivono le "prove tecniche" della scrittura primitiva e quindi io non mi dilungherò in proposito. Vi bastino tre parole chiave per guidare i vostri motori di ricerca qualora vogliate approfondire il lato "tecnico" della scrittura primitiva: ideogramma, sillabico, alfabetico... (vedi inoltre le monografie in Dag 1997 pp. 47-59 e Bot 1992 pp. 32-45).
Se la registrazione delle attività in seno a un centro urbano (cambiamento della guida della comunità, atti di matrimonio, cessioni di proprietà, esclusione di funzionari corrotti da cariche pubbliche ecc.) consentiva di seguirne l'evoluzione è evidente che con la scrittura nasceva la storia.
Ogni comunità che prima di allora ricordava sé stessa attraverso la tradizione orale, poté finalmente seguire il proprio sviluppo attraverso la registrazione di ciò che era stata, in pratica darsi un'identità. Solo con un'identità un nucleo urbano poteva confrontarsi con gli altri.
Rispetto per esempio alle raffigurazioni rupestri con cui l'uomo primitivo in qualche modo conservava tracce della sua identità o del suo passato, la scrittura appariva come un mezzo più rapido, versatile, preciso e "trasportabile". Se prima una comunità, che ricordava se stessa con rappresentazioni figurative e tradizione orale, era sostanzialmente "muta" verso le altre comunità, adesso, grazie alla scrittura, poteva interloquire con le altre. Assistiamo dunque a un passo antropologico di enorme rilievo: la nascita di civiltà.
Ma la diffusione della scrittura all'esterno dalla comunità obbligò ad una sua codificazione in forma assimilabile all'idioma in uso. Non meraviglia quindi che la scrittura più arcaica venisse già adottata come strumento versatile per esprimere lingue diverse. Questa scrittura, definita cuneiforme (vedi sezione su Grotefend), partorita per esprimere il sumerico venne quasi immediatamente adottata per l'accadico (di ceppo semitico), e più tardi per l'ittita (di ceppo indoeuropeo) e tutte le lingue nell'area siro-persiana (Elam, Mari, Ebla, ecc.).
Va osservato che il cuneiforme, durante il suo processo di diffusione geografica al di fuori da Sumer, subì modifiche e miglioramenti nel passaggio da una cultura all'altra. Gli ultimi arrivati non avevano certo tempo di imparare il cuneiforme ripercorrendone l'evoluzione da primitiva scrittura ideografica! Evidentemente ne adottavano la variante più pratica e apprendibile, possibilmente modellandola in base alle loro necessità linguistiche.
Ma quando il cuneiforme entrava a far parte del bagaglio culturale di un popolo, più o meno rimaneva "congelato" nella forma appresa. Più antica la cultura e più difficilmente il suo tipo di cuneiforme poteva risentire di variazioni apportate da altre culture (a meno di una soverchiante egemonia culturale dei dominatori). Può apparire paradossale. Tuttavia non è difficile immaginare che, se una particolare forma di cuneiforme è parte del retaggio culturale, si è restii a modificarlo perché questo può voler dire modificare la propria tradizione e identità.
Ecco perché il cuneiforme è tanto più evoluto, e non poteva essere altrimenti, quanto più siamo lontani dalla sua zona di origine. Infatti il cuneiforme più moderno è quello di tipo alfabetico che troviamo sulla costa del Mediterraneo, confine naturale a Ovest della Mesopotamia. Proprio a Ugarit sorse nel XIV sec. a.C. l'alfabeto più antico della storia (p. 109 Sap 1996). Al contrario, tanto per citare una regione vicinissima a Sumer, in Elam ancora all'epoca di Dario (V sec. a.C.) vigeva un accadico cuneiforme arcaico (metà sillabico e metà ideografico) come testimonia l'iscrizione di Behistun.
I fenici, che la tradizione scolastica vuole "inventori dell'alfabeto", non inventarono la scrittura, e non ebbero bisogno di ripercorrere millenni di prove ed errori per impararla. Essi appresero lo "stato dell'arte" della scrittura dal polo economico-culturale di Ugarit apportandone un'ulteriore miglioria.
L'incontro con la cultura di Ugarit era avvenuto nel XIII secolo, con l'arrivo-invasione della compagine cretese-cipriota dei "popoli del mare". Dato che l'alfabeto fu inventato a Ugarit non meraviglia che proprio dalla costa di Ugarit si diffusero nel Mediterraneo, con la colonizzazione fenicia, l'idea e l'utilizzazione dell'alfabeto.
Tuttavia, poiché i popoli del mare avevano già un loro sistema stenografico più semplice e rapido dell'elaborato cuneiforme (si pensi alle "lineari" di Creta) l'alfabeto che venne diffuso aveva aspetto ben diverso dal cuneiforme. Era cominciato il declino del cuneiforme, protrattosi fino al I sec. d.C. quando venne definitivamente soppiantato dall'alfabeto fenicio!
La bassa Mesopotamia all'inizio del III millennio era abitata da due gruppi etnici. Lo sappiamo proprio dai primi documenti scritti rinvenuti, che appartengono a due idiomi totalmente differenti. Il primo è una lingua non è collegabile a nessun ceppo linguistico. Questa lingua è chiamata sumerico (non sumero!). E' interessante ricordare che l'esistenza dei sumeri fu postulata dai linguisti (Hinks, 1852) prima ancora che gli archeologi portassero alla luce resti di città sumeriche.
Chi parlava il sumerico era prevalentemente stanziato nella regione chiamata terra di Sumer. Probabilmente i sumeri erano già insediati prima del 3000 a.C. anche se è impossibile dire da quanto tempo. La seconda etnia usava un dialetto semitico parlato più a nord di Sumer, in quel territorio chiamato in seguito terra di Akkad da cui i nomi accadico e accadi per l'idioma e gli uomini che lo parlavano.
Per dire con certezza chi fra loro scoprì o inventò la scrittura bastano pochi dati. I documenti più antichi sono quasi tutti in sumerico e pochissimi in accadico. Inoltre quelli in accadico sono contaminati da numerosi termini sumerici. I sumeri non "scoprirono" solo la scrittura ma un'incredibile quantità di cognizioni, di modelli di comportamento, di tecniche, di situazioni (3). I termini che li descrivono sono ovviamente in sumerico e tali rimasero una volta "presi a prestito" dagli accadi. Particolarmente eloquente è la quantità di nomi sumerici di divinità entrate nel pantheon mesopotamico (p. 21 Bot 92). An, Enlil, Enki, Apsu, Utu, Inanna, Dumuzi e ovviamente Gilgamesh sono tutti nomi sumerici.
Ovviamente anche le parole referenti la scrittura e i suoi supporti sono sumeriche. La tavoletta d'argilla si chiama DUB. Da essa, secondo le regole agglutinanti del sumerico derivano E-DUB (casa delle tavolette ovvero biblioteca/scuola) e DUB-SAR (scriba). Ancora nell'Enuma Elish, poema della creazione babilonese, la reliquia per la quale le divinità si azzuffano - la celeberrima tavoletta del destino - è espressa da tre sumerogrammi DUB-NAM-MESH (NAM = destino in sumerico).
Ora la nascita della scrittura nella Terra di Sumer e la preminenza intellettuale e tecnica dei suoi abitanti portò alla diffusione della civiltà in tutta la Mesopotamia. Questa regione, più o meno corrispondente all'attuale Iraq, è aperta a Nord, a Occidente e a Oriente. Non stupisce quindi che la sua cultura si diffondesse e contaminasse le genti che vivevano nelle vicinanze. Gli stessi autori della Bibbia come pure il vecchio mondo greco ed ellenistico, da cui ha preso spunto questo discorso, non poterono sottrarsi all'influenza pur mediata di questa cultura.
Anche per questo in Mesopotamia si debbono cercare i più antichi documenti relativi alla nostra storia e alla formazione del pensiero umano che, attraverso i secoli, ha dato vita alla nostra filosofia e alla nostra scienza.
Per quanto detto può sembrare che gli accadi giunsero dopo i sumeri, ma non è certo. Gli accadi possono essere stati la popolazione nomade prestanziale ad avere la fortuna di incontrare la cultura sumerica, fondersi con essa e darle nuova linfa vitale.
Gli accadi provenivano da nord, da quella frangia settentrionale del deserto arabo-siriano, serbatoio di tutti i gruppi semitici che, attirati dalla sua prosperità scenderanno nella Terra tra i due fiumi. Come i semiti amorrei, giunti dopo gli accadi, intorno al 2000 a.C. e i semiti aramei, arrivati in Mesopotamia verso il 1000 a.C. L'afflusso migratorio semitico tenne quindi viva la lingua accadica. I sumeri invece avevano evidentemente tagliato tutti i ponti con la madre patria (che non conosciamo) come dimostra il declino della loro lingua, sempre meno presente nei documenti, in concomitanza con il loro declino politico.
L'esplosione dell'accadico nei documenti scritti si ha con il primo grande impero semitico (e primo impero in assoluto d'Oriente!): il regno di Sargon (2334-2279). Come accennato, tra accadi e sumeri non avvenne affatto uno scontro tra culture, bensì una commistione, un'assimilazione su tutti i fronti. Le concezioni religiose e i traguardi politici e culturali dei sumeri vennero assorbiti dagli accadi. Ugualmente la lingua sumerica per quanto sempre meno parlata, rimase in uso per gli atti ufficiali, i documenti economici e soprattutto le belle lettere fino ad almeno il II millennio (4).
La provenienza del ceppo semitico suggerisce in direzione opposta la provenienza del ceppo sumerico. Secondo le ipotesi più verosimili i sumeri provengono da una zona circostante alla Terra di Sumer. Forse dall'altopiano iranico (est) o forse dal Golfo Persico (sud-est). In quest'ultimo caso avremmo una conferma indiretta da uno dei miti più antichi: I Sette Saggi (p. 205 Bot 92). Secondo la tradizione mitica gli uomini avrebbero appreso la scrittura e la civiltà da sette emissari di Enki usciti dal mare. La provenienza marina è accentuata dall'aspetto misterioso dei saggi: metà uomo e metà pesce (apkallu). Nel mito è forse ravvisabile memoria di una remota ondata civilizzatrice che avrebbe seguito la via del mare. Se vogliamo quindi prestar fede a questo mito i sumeri sarebbero arrivati da sud-est seguendo la costa o direttamente per mare. Forse dal leggendario reame di Dilmun, ma questa è un'altra storia...
Nel 1842 Paul-Emile
Botta rinvenne a Khorsabad fra i numerosi reperti, mattonelle
d’argilla ricoperte di strani segni. Egli non aveva idea di come quei segni
andassero letti. Ma la chiave di lettura della scrittura cuneiforme era già
stata formulata, senza che Botta lo sapesse, oltre 40 anni prima, nel 1802, da
parte di un supplente di 27 anni alla scuola civica di Gottinga.
Thomas
Porzano © 2003
(Cer 95, p. 227) I caratteri cuneiformi erano conosciuti in occidente fin dal 1600, grazie alle copie delle iscrizioni pervenute dai viaggiatori europei che si avventuravano in oriente. Il più celebre di questi viaggiatori fu l'italiano Pietro Della Valle che pubblicò a Roma nel 1650 la cronaca del suo intinerario in Oriente durato dodici anni.
Nel 1621 Della Valle raggiunse i resti di un'antica città, identificata molto più tardi con Persepoli, capitale dello scomparso impero persiano. Incuriosito da strane iscrizioni incise nelle rovine, le ricopiò avendo intuito che dovevano trattarsi non di motivi decorativi ma di una forma di scrittura (5):
«E queste iscrizioni, in che lingua e lettera siano, non si sa,
perché è carattere oggi ignoto. Io solo potei notare che è carattere molto
grande, che occupa gran luogo. E che i caratteri non son congiunti un con
l'altro nelle parole, ma divisi e distinti ciascun da se solo, come i caratteri
ebrei [...]. O parole o soli caratteri che siano, al meglio che io potei ne
copiai, tra gli altri quelli che vidi e riconobbi in più luoghi della
scrittura»
dai Viaggi di Pietro Della Valle il Pellegrino. La Persia vol II,
p. 340 ediz. 1667
Nel 1700 Thomas Hyde, professore di ebraico a Oxford, scrisse sulle copie di Della Valle un resoconto dal titolo Segni piramidali o cuneiformi (Dactuli pyramidales seu cuneiforme). Le congetture di Hyde non aiutarono a svelare il senso di quelle iscrizioni ma, da allora, l'appellativo "cuneiforme" vi rimase appiccicato (p. 16 McCall 95).
Quelle iscrizioni dovettero attendere ancora un secolo prima di svelare il loro segreto. Nel 1802 un giovane studioso tedesco Georg Friedrich Grotefend, disponendo di copie molto fedeli riuscì a interpretare i nomi di Dario e di Serse all'interno delle iscrizioni. Se le iscrizioni provenivano da Persepoli ed erano ricavate da edifici munumentali era naturale supporre che il loro contenuto fosse inerente personaggi o eventi dell'antico impero Persiano.
La storia dell’impero persiano era in parte nota grazie agli storici greci, come Erodoto di Alicarnasso che visitò Babilonia lasciandone un meravigliato resoconto, poiché essa si intrecciava con la storia greca. L'incontro-scontro fra la civiltà greca e quella mesopotamica avvenne nel V sec. a.C., quando l'achemenide Ciro allargò le sue mire territoriali alle colonie greche dell’Asia minore (Mileto, Pergamo, Efeso, 6).
Tornando alle iscrizioni, quelle analizzate da Grotefend erano ripartite su tre colonne riempite da caratteri notevolmente diversi fra una colonna e l’altra. Cosa poteva essere se non la descrizione del medesimo fatto in tre lingue diverse! Era probabile che i fatti di cui quelle iscrizioni parlavano dovevano aver coinvolto più stati e più culture, di quei fatti dovevano essere consapevoli dominatori e dominati, alleati e paesi neutrali. Non poteva quindi che trattarsi di gesta memorabili nella storia dell’impero persiano, e probabilmente le iscrizioni commemoravano fortunate campagne di conquista. Inevitabile dunque pensare che una delle tre lingue fosse persiano antico.
Come avrebbero potuto essere descritte le gesta dei sovrani persiani? Grotefend ipotizzò che fosse improbabile che venissero mutate d’un tratto certe consuetudini nelle iscrizioni dei monumenti. Per esempio il "riposa in pace" delle tombe del suo paese si trovava sulle tombe dei suoi avi e su quelle degli avi degli avi e si sarebbe trovato sulle tombe dei figli e su quelle dei figli dei figli. Perché non si sarebbe dovuto trovare il consueto esordio dei monumenti persiani islamici anche in quelli della Persia antica? Perché le iscrizioni di Persepoli non avrebbero dovuto iniziare con lo stereotipato elenco genealogico e di titoli come
X gran re, re dei re, re di A e di B , figlio di Y, gran re, re dei re, figlio di Z, ecc.
Esempi di questa consuetudine si incontrano ripetutamente. Per esempio nella stele di Rosetta (tradotta circa 30 dopo Grotefend):
"Nel regno di Tolomeo, figlio di Tolomeo e Arsinoe, dio fratello e dea sorella, il nono anno, apollonide, figlio di Mossio, sacerdote di Alessandro."
dal II libro dei Re:
"Nell'anno terzo di Osea, figlio di Ela, re di Israele, divenne re Ezechia, figlio di Acaz, re di Giuda"
da un epigrafe augustea:
"Sotto l’imperatore Cesare Augusto, figlio del divino Cesare, nel terzo anno dopo il suo divino consolato."
Oppure da un editto di Carlo Magno:
"Carlo per grazia di Dio re dei Franchi e dei Longobardi e patrizio dei Romani, ecc.
oppure, 400 anni dopo, dalla Magna Charta (1215):
"Giovanni, per grazia di Dio re d’Inghilterra, signore d’Irlanda, Duca di Normandia e di Aquitania e conte d’Angiò, ai suoi sudditi…
oppure, 300 anni più tardi, dal resoconto sulla conquista del Perù di Guaman Poma de Ayala:
"Anno del 1525, Papa Clemente VII del suo pontificato tre, Imperatore Carlo V del suo impero sette e del suo regno delle Americhe cinque.
In effetti nelle epigrafi di Grotefend, vi erano parole che si ripetevano con frequenza nella prima parte dell’iscrizione in tutte e tre le colonne e fra queste era molto probabile trovare la parola re o sovrano nonché i nomi dei sovrani. Grotefend esaminò numerosi documenti di Persepoli e quasi tutti iniziavano con uno di due possibili gruppi di cunei, a cui seguiva sempre un termine che sicuramente stava a indicare la parola re. Trovò iscrizioni che contenevano entrambi i nomi, iscrizioni che contenevano uno solo e sempre solo quello dei due nomi.
Tutte le iscrizioni provenivano da edifici dove, nei bassorilievi e nelle sculture, venivano commemorati sempre e solo due sovrani. E poiché questi due sovrani erano nominati uno accanto all’altro era verosimile che si trattasse di padre e figlio.
Lo schema a cui giunse Grotefend fu:
X-re, figlio di Z
oppure
Y-re, figlio di X-re
Adesso non rimaneva che cercare la genealogia dove padre e figlio furono re, ma non il nonno. Grotefend puntò subito alla dinastia degli Achemenidi, registrata dagli storici greci con grande attendibilità: Ciro, Cambise, Istape, Dario e Serse, di questi solo Istape non fu sovrano quindi X era Dario e Y era Serse. Sfruttando la pronuncia in persiano antico. Non approfondirò il discorso sulla fonetica dei nomi che consentì di identificare la lingua della colonna centrale come una forma antica di persiano, nella quale Dario suonava più o meno come Darayawaush.
Seguirono poi correzioni e perfezionamenti e ci vollero più di trent'anni prima che si effettuassero nuove e decisive scoperte ma a Grotefend spetta la priorità della scoperta decisiva che permise l'interpretazione storica dei grandi scavi della Mesopotamia.
E' interessante ricordare che proprio in occasione del bicentenario della nascita di Grotefend, durante un workshop internazionale, il nostro Giovanni Pettinato rese nota la chiave di traduzione della lingua eblaita.
Abbiamo visto che l'ipotesi che una delle tre lingue delle iscrizioni di Persepoli fosse persiano antico aiutò Grotefend nella primissima decifrazione dal cuneiforme. Allo stesso modo, nel 1838, Henry Rawlinson decifrò altre iscrizioni trilingue, ricavandone molte più parole rispetto ai semplici nomi dei sovrani. L'opera di Rawlinson offrì una conoscenza della storia persiana di gran lunga più precisa di quella tramandata da tutti gli autori antichi messi insieme.
(Cer 95, p. 238) Nell'Iran settentrionale si trova la regione di Bagistana, la "regione degli Dei", posta sull’antica strada carovaniera che passava per Babilonia. Qui sorge un ripido monte roccioso: Behistun (Bisutun). Su una delle due pendici del monte, più di 2500 anni fa, Dario re dei persiani, fece incidere a più di 50 metri dal fondo della valle, figure e iscrizioni che esaltavano la sua persona, le sue imprese, le sue vittorie. Qui Henry Creswicke Rawlinson, nel 1835-1836, si fece calare con l’aiuto di una carrucola da un’alta roccia con l’unico scopo di copiare le iscrizioni incise nella roccia. Le gesta del sovrano sono scritte su 14 colonne e in tre lingue differenti che già Grotefend aveva distinto fra loro identificandone una sola: persiano antico, elamico e babilonese. Nel 1837 presentò alla Royal Asiatic Society di Londra una prima valida traduzione della versione persiana dell'iscrizione che inizia così:
Questo re Darayawaush proclama:
Tu, che nei giorni
futuri
vedrai questa iscrizione,
che io feci incidere nella
roccia,
queste figure di uomini,
non cancellare e non distruggere
nulla!
Bada, finché lasci un seme,
di conservarle intatte!
Anni più tardi si sarebbe cimentato anche con la versione babilonese. Nel 1846 consegnava alla Società Reale Asiatica di Londra la copia esatta della celebre iscrizione e la sua traduzione quasi completa basata sulla decifrazione di 246 caratteri su un totale di circa 600 (p. 16 McCall 95).
Nel frattempo il tedesco Oppert e l’irlandese Hincks mediante l’analisi comparata di zendo, sanscrito e di tutti i principali ceppi linguistici indoeuropei penetravano sempre più a fondo nella struttura grammaticale del persiano antico. Ma Rawlinson e altri si erano già dedicati alle altre colonne dell’iscrizione di Behistun (che superava in ampiezza tutto il materiale finora raccolto). Sulle iscrizioni di Persepoli e di Behistun erano state riconosciute tre lingue diverse. Con mano sicura Grotefend aveva fatto leva sul punto di minore resistenza, dove la maggiore prossimità cronologica permetteva sicuri confronti con gruppi linguistici più noti cominciando la decifrazione dalla colonna mediana, designata già prima di lui come classe I. Superate le difficoltà della scrittura di classe I, si passò alle altre due. Il merito di aver gettato le vasi per la decifrazione della classe II (babilonese) spetta al danese Westergaard (1854). Per la classe III (elamico) bisogna invece ricordare da una parte Oppert e dall’altra Rawlinson allora console generale di Bagdad.
Nel corso delle indagini intorno alla classe III si giunse presto ad una scoperta scoraggiante: la classe I era una scrittura a base di lettere, con un alfabeto paragonabile a quello fenicio dove al segno corrisponde il suono. Ogni gruppo di cunei stava qui di regola per una lettera. Nella classe III, invece, ogni singolo segno rappresentava già una sillaba e spesso addirittura una parola intera.
Ma la fortuna venne incontro agli studiosi. Infatti a Kouyunjik, dove già Botta aveva scavato vennero trovate cento tavole di argilla in una camera sotterranea. E queste tavole che solo più tardi vennero riconosciute come appartenenti alla metà del secolo VII, non contenevano altro che un prontuario di comparazione ad uso degli scolari tra i diversi valori e significati dei singoli segni della scrittura cuneiforme in rapporto al significato della scrittura alfabetica. Il valore di questa scoperta era incalcolabile. Si trattava di veri e propri dizionari, divenuti necessari per apprendere i rudimenti della scrittura cuneiforme, in un tempo in cui la lingua aveva cominciato a semplificarsi e a modernizzarsi evolvendosi da una scrittura figurata e sillabica alla scrittura letterale.
A poco a poco vennero alla luce interi compendi per principianti e per scolari più progrediti, poi dizionari nei quali il nome "sumerico" era contrapposto al nome semitico equivalente, e finalmente abbozzi di un’enciclopedia dove i sostantivi appartenenti a una stessa categoria della vita quotidiana erano allineati l’uno accanto all’altro, e al primo posto era sempre collocato il nome sumerico (conservato solo nella pratica religiosa e giuridica del tempo) e al secondo il nome semitico.
L'incertezza legata alla traduzione del cuneiforme fu sciolta definitivamente nel 1857 quando la Società asiatica di Londra inviò contemporaneamente ai quattro maggiori esperti di scrittura cuneiforme del tempo il testo di una lunga iscrizione di Tiglat-Pileser I da poco scoperta ad Assur. Nessuno dei quattro eruditi (gli inglesi Henry Rawlinson e Fox Talbot, il franco-tedesco Jules Oppert, e l’irlandese Edward Hincks scopritore dei sumeri) sapeva del coinvolgimento degli altri. Essi si misero subito al lavoro ignorandosi reciprocamente e seguendo ciascuno un proprio metodo personale.
Il risultato, esaminato da una commissione, fu spettacolare. Le quattro versioni concordavano tra loro nei punti essenziali. Era la dimostrazione che l'assiro cuneiforme seguiva precise regole linguistico-grammaticali e che poteva essere tradotto con approccio scientifico. Era il 1857, anno di nascita ufficiale dell'assiriologia, e già 10 anni dopo si pubblicavano le prime grammatiche elementari di lingua assira.
I progressi degli assiriologi si univano ai successi dell'archeologia. Dagli scavi di Khorsabad, di Ninive e Nimrod emersero capolavori che presto raggiunsero l'Europa. Tra il 1847 e il 1851 le esibizioni al British Museum dei capolavori assiri crearono una nuova moda tra i londinesi (fotogr. p. 77, Bot 1994). Per esempio l'arredamento vittoriano si arricchì di imitazioni kitsch dei bassorilievi e delle sculture assire ad uso domestico (soprammobili, scrigni, gioielli, ecc.). E Henry Rawlinson venne simpaticamente preso in giro da Gilbert e Sullivan nell'operetta The Pirates of Penzance dove il suo alter-ego cantava: «posso scrivere la lista del bucato in babilonese cuneiforme» (p. 19 McCall 95).