Maha-Bharata |
BHISHMA PARVA
Vyasa, osservando le due armate sconfinate appartenenti ai suoi discendenti, schierate l'una ad ovest e l'altra a est, grazie ai suoi poteri di chiaroveggenza, con nitidezza potè scorrere le pagine cruente della futura battaglia di Kurukshetra. Fu a quel punto che decise di andare ad Hastinapura a trovare suo figlio Dritarashtra.
"La guerra che avete accuratamente preparato durante questi lunghi anni è divenuta una realtà, oramai," gli disse. "Ho visto i due eserciti schierati in posizione di combattimento sulle rive del Gange e io ti avverto che saranno trascorsi solo pochi giorni dal suo inizio che ti ritroverai a piangere la perdita delle persone alle quali tieni maggiormente."
Dritarashtra non rispose. Sapeva bene che ciò che Vyasa diceva si sarebbe rivelata un'amara verità, ma dentro di sè rimaneva sempre un barlume di speranza, alimentato dalla sicurezza che gli derivava dalla forza immensa del suo esercito.
"Se vuoi osservare ciò che avverrà a Kurukshetra posso darti la possibilità di vedere ciò che avviene sul campo di combattimento," aggiunse poi.
"Padre mio," rispose lui, "io non desidero vedere il massacro fraticida che avverrà a partire da domani. Però non voglio neanche ignorare la realtà dei fatti. Fa in modo che qualcuno possa raccontarmi tutto nei minimi dettagli."
"Così sarà. Accorderò a Sanjaya il potere
di osservare simultaneamente ciò che accade in ogni angolo della
sconfinata terra di Kurukshetra. Potrà percepire i sentimenti e
captare i pensieri più reconditi di coloro che si apprestano a morire
o a sopravvivere; inoltre quando si troverà sul campo di battaglia,
sarà invulnerabile all'urto di qualsiasi arma.
"Momenti tremendi si apprestano, figlio mio, ed io prevedo,
senza ombra di dubbio, che la vittoria non potrà mai essere dei
tuoi figli."
Detto ciò Vyasa partì.
Con l'animo turbato e la mente in subbuglio, Dritarashtra chiese a Sanjaya di parlargli dei numerosi luoghi santi e delle regioni di Bharata-varsha, così da dimenticare almeno per un pò la terribile ansietà che lo opprimeva.
Sanjaya, che era un grande erudito, gli parlò allora di delicati e controversi problemi filosofici quali le tre suddivisioni delle entità viventi che popolano l'intero universo e le complesse interazioni dei cinque elementi che compongono l'aspetto grossolano della creazione materiale. Ancora, descrisse fantastici luoghi come l'isola Sudarshana, Bharata-varsha ed altri, soffermandosi su ogni dettaglio e specificando persino la durata della vita dei loro abitanti.
Andò avanti a parlare per diverse ore, poi, terminato il discorso, si recò sul campo di battaglia.
Tornò ad Hastinapura dieci giorni dopo.
"O re, la politica demoniaca dei tuoi figli sta già dando i suoi primi frutti. Insieme a numerosissimi altri re e soldati, il grande e invincibile Bhishma, che ha provveduto a te nei primi anni della tua vita come se fossi stato suo figlio, il figlio di Ganga che possiede perfetta conoscenza dei principi che governano questo mondo e l'altro, è caduto sul campo ferito a morte, trafitto dalle centinaia di frecce scoccate dagli archi di Arjuna e Shikhandi. Egli sta ora aspettando il momento propizio chiamato Uttarayana per abbandonare le sue spoglie mortali."
Dritarashtra si sentì come fulminato: non trovava le parole
per descrivere il suo dolore.
Poi, riavutosi, riuscì a dire:
"Come è stato possibile? Bhishma era invincibile e invulnerabile praticamente a qualsiasi arma, e sarebbe potuto morire solo quando lo avesse desiderato. Come hanno fatto? Egli è riuscito persino a confondere Parashurama e neanche i deva stessi avrebbero voluto incontrarlo sul campo di battaglia. O Sanjaya, appaga la mia curiosità, racconta gli eventi di questi primi dieci giorni di battaglia."
Sanjaya gli si sedette accanto e iniziò a parlare.
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Sanjaya inizia a raccontare
Non lontano dal lago Samanta-panchaka, creato in tempi antichi dall'avatara Parashurama, stazionava la grande armata dei Pandava. Quando quella mattina uscirono dalle loro tende, tutti videro in lontananza un brulicare di stendardi e capirono che i Kurava erano arrivati. I loro cuori guerrieri, sempre assetati di battaglie, esultarono. Krishna e Arjuna soffiarono con forza nelle loro conchiglie devadatta e panchajanya per dar loro il benvenuto e i Kurava, anch'essi pieni di eccitazione, risposero con conchiglie, trombe e tamburi.
La mattina stessa i generali delle due parti si incontrarono per stabilire le regole da osservare durante la battaglia; poi il fermento delle ultime preparazioni tattiche riprese, più febbrile che mai.
"Dobbiamo dare il nostro massimo appoggio a Bhishma," disse Duryodhana al fratello Dusshasana mentre erano indaffarati ad organizzare le truppe, "specialmente durante gli attacchi di Shikhandi, che è predestinato ad uccidere Bhishma. Nella vita precedente egli era Amba e grazie a severe austerità è rinata come Shikhandi: il suo cuore è più che mai colmo di odio, e in questa vita non desidera altro che vedere ai suoi piedi il nostro amato e vecchio nonno. Proteggiamolo dunque con cura, poichè in assenza di Karna la nostra vittoria dipende da lui."
Intanto Bhishma, alla testa dell'undicesima falange, incoraggiava i soldati risvegliandone il loro ardore guerriero. Ognuno non aspettava altro che cominciare la battaglia, pronto a vincere o a morire. Fin dall'inizio sette tra i migliori si posero con i loro carri intorno a quello di Bhishma per proteggerlo dagli attacchi del figlio di Drupada.
All'infuori di Karna, tutti erano sul campo, pronti a combattere.
Dall'altra parte i Pandava osservavano lo sterminato esercito avversario. In quegli attimi di sottile tensione Krishna, per nulla preoccupato, ebbe per l'amico Arjuna, parole incoraggianti e fiduciose. Poi le manovre terminarono e sulla sconfinata piana calò un gran silenzio. Si sentiva solo il soffio leggero della brezza e il cinguettio degli uccelli.
Ma inaspettatamente Yudhisthira scese dal carro, si tolse l'armatura e gettò le armi sul terreno, seguito dai suoi fratelli. E tutti e cinque si diressero a piedi in direzione dell'esercito nemico, nel punto in cui si notavano i cavalli bianchi di Bhishma. Tutti erano stupiti: che voleva fare? che intenzioni aveva il figlio di Dharma?
"Sicuramente ha paura e cerca la protezione dell'anziano per evitare la sconfitta e salvare la sua vita e quella dei suoi fratelli," disse qualcuno.
"Come è potuto nascere un simile codardo nella razza kshatriya?", dissero allora altri. "La sua pazienza e la sua rettitudine erano invece una copertura alla sua vigliaccheria."
Nessuno capiva cosa stesse succedendo. Solo Bhishma, Drona e Kripa guardavano con un sorriso sulle labbra.
Arrivati di fronte all'anziano parente, Yudhisthira lo salutò con grande rispetto e gli disse:
"Sono venuto a porgerti i miei omaggi e a chiederti il permesso di combattere contro di te. Senza il tuo accordo noi non potremmo porci di fronte a te neanche per pochi istanti. Accordaci le tue benedizioni."
Bhishma sorrise e benedisse i nipoti. A quel punto i Pandava andarono da Drona e Kripa e chiesero anche a loro la stessa cosa.
I tre maestri furono felici nel vedere quanto i figli di Pandu fossero umili e rispettosi nell'osservare i sottili principi della religione. Ottenuto il consenso dai suoi maestri e superiori, Yudhisthira annunciò a voce alta che la guerra sarebbe cominciata immediatamente.
Tornati indietro, i cinque cominciarono a rimettersi le armature con movimenti talmente vigorosi ed energici che nessuno riusciva a distogliere lo sguardo dalle loro figure. Era uno spettacolo vederli in piedi sui loro carri, con lo sguardo fermo e solenne e splendenti come cinque Indra.
Duryodhana, dopo aver osservato attentamente la disposizione dei nemici, si recò da Drona.
"Guarda, o maestro, la grande armata guidata dal tuo intelligente discepolo Drishtadyumna. Guarda quanti eroi, tutti potenti come Arjuna e Bhima. Anche dalla nostra parte ci sono guerrieri invincibili come Bhishma, te stesso e altri ugualmente forti. Tuttavia noi sappiamo che essi tenteranno di colpire l'anziano Bhishma; per questo chiedo a voi tutti di dargli la massima protezione."
A quel punto il figlio di Ganga, notando la preoccupazione di Duryodhana, pensò di rincuorarlo suonando la sua conchiglia: a ruota fu seguito da tutti i soldati Kurava. Si produsse un suono assordante. Ma quando i Pandava risposero, il suono delle loro conchiglie giunse fino ai pianeti celesti, causando un vivo terrore nei cuori dei soldati Kurava.
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La Bhagavad-gita
E in quel momento il figlio di Pandu, seduto sul carro con l'emblema di Hanuman, avendo visto il possente esercito nemico schierato con grande sapienza tattica, disse a Krishna:
"O infallibile, guidami tra le due armate così che io possa vedere chi, in disprezzo della propria vita, è venuto a partecipare a questa guerra."
Condotto da Krishna nel mezzo dei due schieramenti, Arjuna scorse i suoi parenti e amici, tutti armati e pronti a morire. Prevedendo il tragico destino che attendeva la maggior parte di loro, fu sopraffatto dalla compassione e con voce tremante per l'emozione disse:
"Krishna, dopo aver visto tanti che conosco e mi sono cari, ho perso la voglia di combattere. Come posso scagliare le mie armi contro i miei amici e parenti, che amo e rispetto più di ogni altra cosa? Io credo che da questa guerra non possa venire fuori niente di buono. A che ci servono gli onori e le ricchezze se li conquistiamo al prezzo della vita altrui? La morte di queste persone causerebbe solo grandi dolori e disordine in tutto il mondo e noi, che crediamo di essere virtuosi, saremmo macchiati dal peccato per l'eternità."
Dicendo queste parole, Arjuna gettò in terra il suo arco
e le sue frecce, e si sedette sul carro, disperato, con la mente ansiosa
e le mani rese malferme dall'agitazione.
A quel punto disse:
"O Govinda, io non combatterò."
Vedendo Arjuna depresso a causa della compassione che sentiva per tutti i suoi cari, Krishna disse:
"Mio caro Arjuna, quelle che hai detto solo apparentemente sono parole giuste. In realtà sei prigioniero di un'impotenza degradante che non conduce all'elevazione ma all'infamia. Non cedere a questa debolezza sentimentale e risorgi."
Arjuna, giungendo le mani in segno di rispetto, disse:
"O Madhusudana, mi sento confuso. Non so quale sia la cosa più giusta da fare. Per favore, dimmelo tu. Io sono tuo discepolo: istruiscimi."
E Shri Krishna cominciò a parlare:
"Il saggio non si lamenta nè per i vivi nè per i morti, in quanto sa che l'anima è eterna, che non nasce nè muore mai. Così come in questa stessa vita l'anima spirituale passa dal corpo di un fanciullo fino a quello di un anziano, in modo analogo al momento della morte passa in un altro corpo: una persona sobria non deve lasciarsi disturbare da questo fenomeno naturale.
"In questo mondo la sofferenza e il dolore appaiono e scompaiono periodicamente proprio come le stagioni; tali variazioni provengono dalla percezione dei sensi e non hanno realtà assoluta. Devi dunque imparare a tollerare senza esserne disturbato. Solo colui che raggiunge questo stadio di imperturbabilità è degno della liberazione. Considera, o discendente di Bharata, che ciò che pervade il corpo è eterno e indistruttibile e che solo il rapporto che lo lega ad esso è temporaneo; combatti, dunque, con animo sereno.
"Ma se anche tu credi che l'anima sia parte integrante di questo meccanismo di morti e rinascite, non hai ragione di lamentarti, in quanto la morte non sarebbe altro che un momento come un altro della storia dell'esistenza.
"Combattere è un tuo dovere naturale, che hai acquisito al momento della nascita e quindi devi farlo. In caso contrario la gente non crederà che tu l'abbia fatto per compassione, ma per paura, e il tuo nome sarà deriso per sempre. Dunque abbandona questa debolezza, alzati e combatti.
"Tuttavia poichè credi che le tue azioni sarebbero macchiate dal peccato, ti spiegherò come potrai agire pur restando libero dalle conseguenze.
"Ci sono uomini che sono attratti dal linguaggio fiorito dei Veda, che raccomandano attività interessate allo scopo di raggiungere i pianeti celesti o nascite migliori per una vita di gioie e opulenze: essi sostengono che niente è superiore a ciò. Nelle menti di costoro non può attecchire la determinazione per il servizio devozionale al Signore Supremo. Ma tu devi ergerti oltre le influenze della natura materiale, trascendere questo mondo, e per ottenere ciò devi agire secondo i tuoi doveri prescritti, ma senza pretendere di gioire dei frutti delle tue azioni; la tua perfezione consiste dunque nell'atto stesso e non nell'esito che potrà rivelarsi piacevole o meno. Non devi mai essere attaccato al successo o provare repulsione davanti al fallimento, ma fa tutto come servizio disinteressato alla Suprema Per-sonalità di Dio. Avari sono coloro che vogliono godere dei risultati delle loro azioni.
"Se dunque ti comporterai secondo tale coscienza spirituale, in questa stessa vita trascenderai ogni condizionamento, sarai libero dal ciclo delle morti e delle rinascite e raggiungerai lo stadio che è al di là di tutte le miserie."
Arjuna chiese:
"O Krishna, da quali sintomi si può riconoscere colui
che ha raggiunto la trascendenza?"
Shri Bhagavan rispose:
"Colui che ha abbandonato ogni desiderio per la gratificazione
dei propri sensi, che nascono dalla speculazione della mente, e quando
questa, così purificata, trova soddisfazione solo nel sé,
puoi essere certo che è situato in pura coscienza trascendentale.
E colui che non è più disturbato dalle miserie della vita
materialistica, che non gioisce o si lamenta nelle situazioni di felicità
o di sofferenza, che è libero da attaccamento, paura e rabbia, è
un saggio dalla mente ferma. Arjuna, l'attaccamento per le cose di questo
mondo si può vincere solo provando un gusto superiore, altrimenti
i sensi, che sono più impetuosi e inarrestabili del vento, trascineranno
nuovamente l'anima condizionata nel pozzo dell'esistenza materiale. E'
attraverso la contemplazione degli oggetti dei sensi che un uomo sviluppa
attaccamento per essi, e per tale ragione perde la propria intelligenza.
Ma se controlla i sensi servendosi dei principi regolatori della libertà,
può ottenere la misericordia del Signore, riacquistare la propria
intelligenza e raggiungere la vera pace. E al momento della morte può
entrare nel regno di Dio."
Krishna continuò:
"O Arjuna senza peccato, a questo punto ti spiegherò
meglio perchè ti sto esortando a combattere. Non puoi ottenere la
perfezione astenendoti dall'espletamento dei tuoi doveri, poichè
tutti sono forzati ad agire secondo le caratteristiche che la natura materiale
ha imposto loro. In funzione di ciò se anche ritirassi i tuoi sensi
dall'azione, la mente rimarrà comunque sugli oggetti dei sensi,
e prima o poi ritorneresti su di loro. Dunque ti dico di agire, ma in spirito
di devozione; agisci offrendo le tue azioni a Vishnu, per la sua soddisfazione,
e queste non ti legheranno al mondo fenomenico nè sarai nel peccato.
Persino se tu fossi al di là di questo mondo e fossi già
liberato, dovresti assolvere i tuoi doveri, poichè gli altri seguirebbero
il tuo esempio e saresti causa di rovina per la società intera.
Devi dunque armonizzare queste due cose, imparando a conoscere bene la
differenza tra azione in spirito di devozione e azione motivata da interessi
materialistici. Se tu Mi offri tutto ciò che fai senza volere nulla
in cambio e senza credere che qualcosa ti appartenga, sarai libero da ogni
peccato. Dunque, o Arjuna, combatti."
Arjuna chiese:
"Cos'è quell'energia che spinge un uomo a peccare, come
se fosse costretto da una forza superiore?"
La Suprema Personalità di Dio rispose:
"E' la lussuria, Arjuna, il nemico che tutto divora; essa nasce
dal contatto con l'influenza della passione e poi si trasforma in collera.
Questa lussuria non può mai essere saziata, brucia come il fuoco
ed è l'eterno nemico della pura coscienza dell'entità vivente.
O Arjuna, impara a controllarla fin dall'inizio, regola i sensi ed elimina
questo assassino della conoscenza e della realizzazione spirituale."
Shri Krishna continuò:
"Questa scienza suprema che ti sto offrendo è la stessa
che in tempi antichi impartii a Vivashvan. Io ti sto introducendo nei suoi
meandri perchè sei mio amico e devoto."
Arjuna chiese:
"Come puoi aver trasmesso questa conoscenza a Vivashvan, che
è molto più anziano di te?"
Shri Bhagavan disse:
"Noi abbiamo vissuto molte esistenze, ma mentre Io posso ricordarle
tutte, tu non ne sei in grado. Sebbene Io sia il non-nato, di millennio
in millennio discendo in questo mondo nella mia forma trascendentale personale,
ogni qualvolta si verifichi un declino nelle pratiche religiose. E chi
viene a conoscenza della natura spirituale della Mia apparizione e delle
Mie attività non prenderà più nascita in questo mondo
materiale.
"Ora ricorda le differenze che esistono tra azione e inazione: colui che agisce libero dal desiderio di gratificazione dei sensi è un saggio i cui peccati sono stati bruciati dal fuoco della co-noscenza perfetta; egli, sebbene si impegni in numerose attività, in realtà non agisce affatto e non si macchia di alcun peccato. Così, pur agendo in svariate maniere, si dirige verso la Meta Suprema. Tutto ciò devi impararlo da un maestro spirituale autentico, ponendogli domande e servendolo, e allora, se anche dovessi venire considerato dagli altri il peggiore dei peccatori, in realtà grazie a questa conoscenza trascendentale potrai attraversare l'oceano delle miserie materiali."
Arjuna chiese:
"O Krishna, prima Tu hai parlato di rinuncia all'azione, poi
mi hai raccomandato l'azione devozionale. Puoi dirmi quale delle due è
la migliore?"
E Shri Krishna disse:
"Entrambe conducono alla liberazione, ma di esse l'azione devozionale
è la migliore, perchè comprende anche l'altra; infatti colui
che non odia nè desidera i frutti del suo lavoro è già
rinunciato e sciolto dalle catene della dualità. E' già completamente
liberato. Lo studio analitico del mondo materiale (sankhya- yoga) e il
servizio devozionale (karma-yoga) non differiscono affatto tra di loro
e conducono allo stesso fine. Rinunciare ad agire senza impegnarti nel
servizio devozionale non ti renderà felice, ed è anche pericoloso.
Un saggio, sebbene sembri impegnato in normali attività mondane,
in realtà le ha già trascese e vive felicemente persino in
questo mondo."
Shri Bhagavan continuò:
"Dunque il vero rinunciato è colui che lavora come se
vi fosse obbligato, con la mente distaccata dai frutti della propria azione.
Questo è vero yoga: nessuno può diventare uno yogi a meno
che non rinunci al desiderio per la gratificazione dei sensi. Ma devi imparare
a controllare la tua mente, o Arjuna, la quale può essere la tua
migliore amica o la tua più aspra rivale. Controllala, e liberati
dai desideri e dal senso di possesso. Meditando su di Me, potrai raggiungere
la Mia eterna dimora."
Arjuna disse:
"O Madhusudana, il metodo di realizzazione che mi hai appena
riassunto mi sembra difficile, in quanto la mente è troppo instabile
e irrequieta, e credo che sia difficile da controllare anco-ra più
del vento."
Krishna rispose:
"Tale impresa è sicuramente difficile, o figlio di Kunti,
ma diventa possibile se segui una giusta disciplina. In tal caso il successo
è assicurato."
Arjuna chiese:
"Cosa succede a colui che inizia il cammino della liberazione
e per qualche ragione non raggiunge la meta? viene forse privato di ogni
successo e perisce come una nuvola solitaria?"
La Suprema Personalità di Dio rispose:
"Colui che tenta la via della realizzazione e non conclude il
cammino, dopo tanti anni di gioie nei pianeti dove vivono coloro che sono
pii rinasce in una famiglia di gente virtuosa, avanzata nella saggezza.
E grazie a tale nascita, la sua coscienza divina si risveglia e riprende
il cammino interrotto fino ad ottenere successo completo.
"Questa natura materiale è composta di otto elementi, e oltre ad essa esiste un'altra energia, costituita dalle entità viventi che cercano di sfruttare a proprio vantaggio le risorse della materia. E sappi anche che oltre a queste esisto Io, che ne sono l'origine e la dissoluzione, che non vi è verità superiore a Me, e che tutto in Me sussiste proprio come le perle di una collana sono tenute insieme dal filo. Io sono l'origine di tutto, o Arjuna, e solo chi si sottomette a Me potrà attraversare il vasto e difficile oceano dell'ignoranza."
Il Signore Supremo continuò:
"Mio caro Arjuna, poichè tu non sei invidioso di Me,
ti impartirò la conoscenza più confidenziale. Questo intero
universo è pervaso dalla Mia forma non manifestata e tutti gli esseri
sono in Me, ma Io non sono in loro. Io sono il Creatore e il Mantenitore
di tutto ciò che esiste. Alla fine del millennio tutto torna in
Me e per Mio volere tutto automaticamente si manifesta ancora per poi essere
nuovamente distrutto. Io controllo tutti i fenomeni dell'universo.
"Dunque, per liberarti dai legami dell'azione, fai tutto offrendolo in sacrificio a Me. Pensa sempre a Me, diventa Mio devoto, offriMi omaggi; così assorto nella Mia persona sicuramente verrai a Me."
Arjuna disse:
"Tu sei la Suprema Personalità di Dio, il rifugio ultimo,
il più puro, la verità assoluta. Tu sei l'eterna e trascendentale
persona suprema, il non-nato, il più grande. Tutti i saggi più
puri come Narada, Asita, Devala e Vyasa confermano questa verità
e ora Tu stesso me l'hai dichiarata. O Krishna, io accetto come verità
qualsiasi cosa Tu mi abbia detto. Tu sei il Signore di tutto ciò
che esiste. Ora, dunque, parlami delle Tue varie forme su cui posso meditare;
descrivimi le Tue potenze infinite."
E il Signore, per accontentare il Suo intimo amico, le descrisse, poi gli mostrò la forma universale. Confuso e sbigottito nel vedere quell'aspetto del Signore, Arjuna lo pregò di ritornare alla sua originale forma.
Poi tornò a chiedergli:
"Chi deve essere considerato più elevato: colui che è
impegnato correttamente nel Tuo servizio devozionale o colui che adora
il Brahman impersonale?"
Shri Bhagavan disse:
"Colui che fissa la mente sulla Mia forma personale ed è
sempre impegnato nell'adorarmi con grande fede trascendentale, è
senz'altro il più avanzato. Anche chi medita e desidera raggiungere
il non manifestato Brahman arriva a Me, ma arduo è il suo cammino.
Al contrario libero velocemente dall'oceano di nascite e morti i miei devoti.
"Caro Arjuna, se desideri fissare la tua mente in Me senza mai deviare, allora segui i principi regolatori del bhakti-yoga; in questo modo svilupperai il desiderio di raggiungerMi. Ma se non riesci a fare neanche questo, allora cerca di agire per Me. Se anche questo ti riesce difficile, allora rinuncia ai risultati delle tue attività. E se anche ciò ti sembra impraticabile, col-tiva la conoscenza trascendentale."
Arjuna chiese:
"O Hrishikesha, spiegami cosa sono la rinuncia (tyaga) e l'ordine
di rinuncia (sannyasa)."
La Suprema Personalità di Dio disse:
"La cessazione di quelle attività che hanno il solo fine
di soddisfare i propri desideri materiali è ciò che gli eruditi
chiamano ordine di rinuncia; e l'abbandono dei risultati che provengono
da esse è ciò che i saggi chiamano rinuncia (tyaga).
"Ogni cosa dovrebbe essere compiuta come se fosse un obbligo, senza attaccamento e senza aspettarsi alcun risultato. Mai devi astenerti dal compiere i tuoi doveri prescritti, poichè tale rinuncia è condizionata dall'influenza dell'ignoranza; se agisci in tale coscienza non sei toccato dalle reazioni del peccato.
"Solo attraverso il servizio devozionale puoi realizzarMi così come sono in realtà, e cioè la Suprema Personalità di Dio. E quando sarai in piena coscienza di Me grazie a tale devozione, entrerai nel Mio regno trascendentale.
"Così ti ho parlato degli aspetti più confidenziali della conoscenza, la quale non dovrebbe essere spiegata a coloro che non siano austeri, o devoti, o che siano vittime dell'invidia. Rifletti su tutto ciò che ti ho detto e poi agisci come meglio credi. Abbandona ogni dharma e sottomettiti a Me. Io ti libererò da ogni reazione peccaminosa. Non temere.
"Colui che studia questa nostra sacra conversazione Mi venera con la sua intelligenza, e se ascolta con fede e senza invidia si libererà dalle reazioni peccaminose e perverrà ai pianeti più alti."
Arjuna disse:
"O Acyuta, la mia confusione è svanita. Grazie alla tua
misericordia, ho riguadagnato la pace e ora sono libero dai dubbi e pronto
ad agire secondo le tue istruzioni."
Così, o Dritarashtra, per la misericordia di Vyasa ho ascoltato la conversazione tra le due grandi anime, Krishna e Arjuna. Essa è stata così meravigliosa che sento i capelli rizzarsi sulla testa e sensazioni di estasi pervadono il mio corpo; quando mi si ripresenta dinanzi agli occhi la sublime forma del Signore Krishna, la mia gioia è sempre più intensa.
Dovunque c'è Krishna, il Signore di tutti i mistici, e Arjuna, il supremo arciere, là sono certamente presenti l'opulenza, la vittoria, il potere sovrumano e la moralità. Questa è la mia opinione.
89
Il primo giorno
Riprese le armi con grande determinazione, Arjuna risalì
sul suo carro da guerra.
Un silenzio ricco di attesa calò tra i soldati.
Poi i due eserciti si mossero dapprima con lentezza, poi aumentando gradualmente la velocità, fino a lanciarsi con decisione l'uno contro l'altro.
L'urto fu terribile.
Un frastuono assordante si udì particolarmente nel punto in cui Dusshasana aveva sferrato l'attacco, prontamente contrastato da Drishtadyumna.
Nonostante il rumore si levasse altissimo, si poteva distinguere nettamente il ruggito di Bhima, che era stato attaccato contemporaneamente da dodici dei fratelli di Duryodhana. Nel vedere il valido combattente oppresso da un nugolo di avversari assetati della sua vita, i cinque figli di Draupadi, Abhimanyu, Nakula e Sahadeva vennero in suo aiuto e il nemico fu ricacciato indietro. Erano passati solo pochi minuti che già era possibile capire cosa sarebbe stata quella battaglia: lo spettacolo di morte era tale da far rizzare i peli per il terrore.
Bhishma si ritrovò di fronte il battaglione capeggiato da Arjuna, e i soldati Kurava si resero immediatamente conto di cosa significasse avere di fronte il Pandava: l'arco Gandiva non si fermava un momento, le sue frecce erano fitte come le gocce di pioggia durante un tremendo temporale, e i soldati cadevano senza neanche accorgersi da chi o da cosa fossero stati colpiti.
In diverse parti dello sconfinato campo di battaglia si notavano fantastici duelli come quello fra Satyaki e Kritavarma, fra Abhimanyu e Brihadbala, e fra Yudhisthira e Shalya. La battaglia infuriava sempre più, tanto che il tumulto divenne indescrivibile. In un inferno di armi che saettavano tra corpi umani e animali, e carri di varia foggia, l'ardore kshatriya dei guerrieri si sfogò in tutta la sua violenza. Uno dei punti più caldi si rivelò quello in cui Bhima si ritrovò di fronte il battaglione di Duryodhana; avendo finalmente davanti a sè l'odiato cugino, questi scese dal carro e, da solo, contando unicamente sulla mazza che portava sempre con sè, si scagliò contro i soldati che lo circondavano provocando il panico e la fuga generale.
Ma fra tutti, colui che stava causando il maggior numero di vittime era sicuramente il figlio di Ganga, che sembrava il fuoco della dissoluzione quando, alla fine del tempo concesso all'esistenza dell'universo materiale, brucia i mondi. A causa sua i Pandava contavano, alla fine del pomeriggio, pesanti perdite. Bhishma era stato incontenibile; ogni qualvolta veniva in contatto con le truppe avversarie, queste sembravano squagliarsi come il burro quando lo si accosta a un grande fuoco.
Abhimanyu, che osservava quella catastrofe da vicino, a un certo punto non riuscì più a tollerare la vista di cotanta distruzione e attaccò il vecchio e venerabile guerriero; il più giovane contro il più anziano. Il figlio di Arjuna, nato dall'energia di Soma, era un grandissimo combattente, per cui riuscì a ferire Bhishma, Shalya e Kritavarma, facendo addirittura cadere la bandiera del carro dell'anziano; agitò così tanto le acque già tempestose della battaglia che i suoi soldati ripresero coraggio e speranza, e ritornarono ad affrontare il nemico con baldanza. Abhimanyu aveva dimostrato che Bhishma non era invincibile: tale riprova fu di fondamentale importanza per il morale delle sue truppe.
Le uniche perdite importanti che i Pandava quel giorno avevano subito, erano stati i due figli di Virata: il giovane Uttara e suo fratello Sveta, entrambi uccisi da Bhishma. I due ragazzi si erano battuti con grande valore.
Il sole aveva cominciato a celarsi dietro l'orizzonte e la luce pareva avere esaurito i bagliori pomeridiani; il generale più anziano, suonò la conchiglia che ordinava il rientro delle truppe.
Il primo giorno della più sanguinosa guerra mai combattuta era finito. Bhishma era stato tanto terribile che Duryodhana si sentiva ebbro di contentezza. Diceva a tutti che se il nonno avesse continuato a combattere in quella maniera, tutto sarebbe finito molto presto, e con la loro vittoria. I Pandava invece erano demoralizzati: avevano subito pesanti perdite.
"Hai visto cosa sa fare Bhishma?" si lamentò Yudhisthira alla presenza di Krishna. "Egli è invincibile, non è possibile stargli di fronte neanche per qualche secondo. Ora realizzo quanto sia stato sciocco credere in una vittoria contro un esercito forte della sua presenza. Sarebbe stato meglio per tutti se avessi continuato a stare nella foresta. Che si può fare contro di lui e Drona?"
"Non hai niente di cui preoccuparti," rispose Krishna. "Nessuno dei tuoi più cari amici è caduto, e io sono ancora qui con te, e anche Arjuna e tutti gli altri. Di cosa ti preoccupi? Domani troveremo il modo di fermarlo."
Ai guerrieri sembrò che le ore della notte passassero in un istante; appena il tempo di chiudere gli occhi ed era già l'aurora, che annunziava il secondo giorno.
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25.12.2016