Maha-Bharata   

ADI PARVA

 

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Kunti e il figlio del sole

Il re Sura, della stirpe dei Vrishni, aveva un figlio di nome Vasudeva e una figlia di nome Pritha. Suo cugino Kuntibhoja invece non era riuscito ad averne, così Sura pensò di concedergli la ragazza in adozione. Quando la fanciulla entrò nel palazzo dello zio, ricevette il nome di Kunti, essendo stata adottata per l'appunto da Kuntibhoja.

Quelli furono anni di felicità per lei, che con i suoi modi aggraziati ed amabili si era accattivata l'affetto dei genitori adottivi e di tutti i frequentatori della corte.

Un giorno arrivò in città, per una visita, il saggio Durvasa. Quest'ultimo aveva grandi poteri mistici, ma era anche particolarmente irascibile. Si raccontava che in momenti d'ira potesse pronunciare maledizioni terribili dai risultati devastanti.

Nei giorni in cui egli dimorò da loro, Kunti lo servì con grande impegno, riuscendo nella difficile impresa di soddisfarlo. Prima di ripartire Durvasa pensò di ricompensarla.

"Cara ragazza," disse il rishi, "tu mi hai servito con grande impegno e fedeltà, quindi io vorrei darti qualcosa che in futuro ti tornerà utile. Ti insegnerò un potentissimo mantra con il quale potrai chiamare al tuo cospetto qualsiasi deva, che sarà costretto a soddisfare ogni tuo desiderio."

A quel tempo Kunti era poco più di una bambina e non capì cosa il saggio intendesse dire con "ogni tuo desiderio". In realtà si riferiva al desiderio di generare figli.

Erano passati diversi mesi dalla partenza del saggio, quando una mattina Kunti, nel veder sorgere il sole, rimase incantata dalla bellezza di quell'astro celeste. Si chiese quanto dovesse essere bello il deva che governava un pianeta così caldo e affascinante, e provò un forte desiderio di vederlo personalmente. Fu allora che le venne in mente il mantra che Durvasa le aveva insegnato, e impulsivamente lo recitò, pensando a Vivasvan. Appena un attimo dopo la stanza fu inondata da una luce abbagliante e lì Kunti, protetta dal mantra stesso, si trovò di fronte al tanto adorato deva. Ma subito la ragazza si rese conto di essersi com-portata troppo superficialmente chiamando davanti a sé una divinità solo per un gioco infantile così, dopo avergli offerto delle preghiere, si scusò con lui.

"Non devi scusarti affatto," rispose Vivasvan sorridendo, "poiché la tua avvenenza è tale che può attrarre anche un abitante dei pianeti superiori. Ora io sono qui, pronto a soddisfare ogni tuo desiderio."

Kunti impiegò del tempo prima di capire la verità, e quando la apprese si sentì disperata.

"Come posso io generare un figlio?" disse fra le lacrime. "Non sono ancora sposata, e se facessi una cosa del genere nessuno mi vorrebbe più."

"Non preoccuparti per questo," rispose il deva, "poiché nostro figlio nascerà immediatamente dopo la nostra unione e tu non perderai la verginità."

Così nacque Karna.

Al momento della nascita indossava un'armatura naturale e due meravigliosi orecchini, che erano un tutt'uno col corpo. Kunti, estasiata dalla straordinaria bellezza e grazia del bambino, sentì nascere in sé un grande amore materno; pure la ragione le impose di non lasciarsi trasportare dai sentimenti per cui, ponendolo in una cesta, lo abbandonò alla corrente del Gange, facendolo sorvegliare a distanza da una ragazza.

Non molte ore dopo la cesta venne raccolta da Atiratha, un guidatore di carro da guerra della casta dei Suta, e dalla moglie Radha i quali, non avendo avuto figli e desiderandone uno da tempo, lo adottarono.

Fino agli ultimi tragici giorni della battaglia di Kurukshetra, pochissimi sarebbero venuti a conoscenza della storia dell'unione di Kunti con Vivasvan.

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Pandu viene maledetto

 Qualche anno dopo Kunti sposò il virtuoso e prode Pandu. La vita del giovane, in compagnia delle sue due mogli, trascorreva in piena delizia, ma l'ombra della predizione di Vyasa si stava apprestando.

Un giorno di primavera, mentre era a caccia nella foresta accompagnato da Kunti e Madri, Pandu scorse due cervi che si accoppiavano vicino a degli alberi. In quel momento, dimentico delle regole scritturali che proibiscono l'uccisione di qualsiasi animale nell'atto dell'accoppiamento, questi scagliò un freccia che penetrò nel corpo del maschio. Con grande sorpresa del re, l'animale ferito cominciò a parlare.

"Io non sono un cervo, ma un eremita che vive in questi boschi. Accecato dall'intossicazione della caccia, tu mi hai colpito mentre, sotto queste sembianze assunte grazie ai miei poteri mistici, mi accoppiavo con la mia legittima sposa. Hai commesso un grave errore. Io ti predico che morirai appena tenterai di avere un rapporto sessuale con le tue mogli."

 Il saggio morì pochi istanti dopo. Affranto dai sensi di colpa per aver ucciso un brahmana e per la maledizione che da quel momento gli avrebbe impedito di avere figli, Pandu, accompagnato dalle consorti, abbandonò il regno e si ritirò nella foresta.

 Per i Bharata, che si ritrovarono ancora una volta senza re, fu una grande disgrazia. Come già detto, essendo Dritarashtra condizionato dalla cecità, ancora una volta Bhishma si vide costretto a governare, in attesa della nascita dei figli di uno dei due nipoti.

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La nascita dei Pandava

 Passarono gli anni. Nel frattempo per le spose di Pandu il desiderio di avere figli diveniva sempre più prepotente. Allora, pur sapendo della maledizione inflitta al marito, decisero di parlargliene per trovare una qualche soluzione.

"Gli anni si dissolvono come neve al sole," disse Kunti, "e noi non abbiamo ancora avuto figli. Ogni donna si augura di averne e anche in noi l'esigenza della maternità è diventata molto forte. Come possiamo risolvere questo dilemma che oramai da parecchio disturba le nostre giornate?"

Pandu era desolato.

"Anch'io vorrei tanto avere dei figli, ma sapete bene che non posso, in quanto ciò mi costerebbe la vita. In una circostanza del genere non so proprio quale potrebbe essere la decisione migliore per tutti."

In quei giorni Kunti aveva riflettuto molto sul problema e aveva deciso di rivelare l'avvenimento della benedizione di Durvasa al marito, ma non gliene aveva ancora parlato per timore che lui potesse non essere d'accordo. Invece quale fu la gioia di Pandu alla notizia di diventare il padre di una prole generata addirit-tura da esseri di pianeti superiori!

Nei giorni che seguirono, Kunti si preparò a chiamare i deva.

"Io voglio che il mio primo figlio possegga innanzitutto le qualità della giustizia e della rettitudine," pensò lei, "così chiamerò Yamaraja."

Dall'unione del deva che regola la giustizia e il passaggio delle anime da un corpo all'altro, nacque un maschio che fu chiamato Yudhisthira.

"Ora desidero un figlio che sia forte come mai nessuno lo è stato," pensò poi Kunti, "così chiamerò a me Vayu."

E nacque un secondo maschio che fu chiamato Bhima.

"Ora desidero un terzo figlio che sia il più valoroso in combattimento, e questo figlio lo avrò da Indra."

E dalla loro unione nacque Arjuna.

A quel punto, sentendosi completamente soddisfatta, decise di non procreare più. Ma vedendo Madri avvilita, Kunti le sorrise e le disse:

"Cara amica, so che anche tu desideri molto dei figli. Ora ti insegnerò il mantra, cosicché tu stessa potrai generare."

Volendo prole di bell'aspetto e dalla grande erudizione e saggezza, Madri si appellò ai gemelli Ashvini Kumara, medici dei deva, e da loro ebbe due gemelli che chiamò Nakula e Sahadeva.

Pur non essendo figli diretti di Pandu, essi furono sempre conosciuti come i cinque Pandava, perché nati dalle sue mogli.

Nel frattempo ad Hastinapura era successo un fatto importante. Gandhari, che pure era rimasta incinta, aveva sperato di partorire prima di Kunti, cosicché suo figlio avrebbe avuto la prerogativa sul diritto al trono. Dunque si può ben immaginare la sua delusione quando le fu data la notizia della nascita di Yudhisthira. La collera le fece perdere completamente i lumi della ragione e, accecata dall'ira, si colpì il ventre e abortì. A corte erano tutti disperati, ma Vyasa venne e compose l'aborto, dividendolo in cento parti.

L'anno successivo, nello stesso giorno della nascita di Bhima, nacque il primogenito di Dritarashtra, che fu chiamato Duryodhana. Proprio nel momento della sua nascita, però, dei terribili segni premonitori apparvero, tali da far presagire gravissime disgrazie.

Vidura osservava quei presagi infausti e assorto in gravi riflessioni, andò a trovare Dritarashtra.

"Io so quanto tu sia felice della nascita del tuo primogenito, ma i segni che sono apparsi sopra la nostra città ci fanno capire che non è un'anima pia. Al contrario egli sembra destinato a causare danni enormi. Osserva quelle saette sopra i palazzi, e ascolta come ululano i nostri cani; avverti i tremori sui nostri corpi e guarda come le murti piangono. Fratello mio, tuo figlio porta con sé un destino di disgrazie e immani dolori che spartirà con tutti noi. Ascoltami: se vuoi salvare la nostra famiglia, il nostro regno e tutta la razza degli kshatriya non lasciarlo vivere. Fallo uccidere immediatamente."

A quelle parole Dritarashtra fremette.

"Anche se purtroppo non posso vedere, anch'io sento nel mio cuore presagi terribili, apportatori di morte e capisco anche quanto giusti siano i tuoi consigli. Ma non riesco neanche a pensare di uccidere mio figlio: come potrei? Ho atteso tanto questo momento. Non ci riuscirei mai."

Vidura insistette, e con lui anche Bhishma, ma i due non furono capaci di fargli accettare la cosa. E così Duryodhana visse.

Nel corso del tempo nacquero 100 figli e una figlia.

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La morte di Pandu

 I Pandava trascorsero la loro infanzia nella foresta, ricevendo i primi insegnamenti dai saggi che vivevano negli eremi.

Trascorsero quindici anni felici per Pandu, in compagnia dei figli e delle mogli, ma ciò che è scritto nel libro del karma di ognuno di noi è inevitabilmente destinato ad accadere. Ricorderete infatti ciò che Vyasa disse alla madre dopo l'incontro con Ambalika: "...questo tuo nipote non è destinato a vivere a lungo..."

Così accadde che un giorno di primavera Pandu, mentre gli altri erano nella foresta, vide sua moglie Madri da sola, e un forte desiderio sessuale lo invase al punto da non sapervi resistere. Pertanto, nonostante quest'ultima tentasse di ricordargli la maledizione del rishi, volle possederla; in quel preciso istante cadde al suolo senza più vita. Madri pianse e gridò aiuto, richiamando l'attenzione di Kunti e dei cinque ragazzi che, giunti sul posto, videro Pandu al suolo senza vita.

"Come hai potuto accettare di accoppiarti con lui," gridò Kunti, "sapendo della maledizione che gravava su di lui? Dovevi rifiutarti, ricordargli cosa l'aspettava se lo avesse fatto..."

"Io ho cercato di resistergli, di ricordargli della maledizione del brahmana," pianse la regina affranta, "ma lui sembrava fuori di sé, come se fosse stato posseduto da un demone. Non ho avuto la forza fisica di resistergli."
I saggi della foresta consolarono le due donne e i cinque ragazzi e pochi giorni dopo celebrarono i riti funebri durante i quali il corpo fu bruciato sulla pira. Madri pensò di non poter vivere con il rimorso di ciò che aveva causato, pur involontariamente, e seguì Pandu nella morte. Kunti adottò i suoi figli.

Dopo la tragedia, i Pandava decisero di tornare ad Hastinapura, il regno del padre, per approfondire gli studi. Inoltre Yudhisthira era il principe ereditario al trono, per cui appena il periodo scolastico fosse terminato avrebbe dovuto governare sul vasto regno dei Bharata.

Così i cinque giovani, accompagnati dalla madre e da molti saggi, si incamminarono verso la capitale.

Kunti e i cinque Pandava furono ricevuti dai parenti con calore.

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Predizioni funeste

 Non molto tempo dopo l'arrivo dei figli di Pandu, ricevuto con tutti gli onori, nella città dei Kuru arrivò Vyasa.

Il giorno seguente il saggio volle parlare alla madre.

"Tempi tenebrosi si avvicinano," disse, "tempi in cui la verità verrà momentaneamente coperta dall'empietà e dalla falsità. Molto sangue e lacrime di madri, mogli, figli, amici e parenti scorreranno su queste terre. Non passerà molto tempo e su questo mondo non ci sarà nessuno che non avrà qualcuno da piangere."

Satyavati era allarmata dalle parole del figlio.

"Cosa dici? Cosa avverrà e chi dovrà piangere i propri cari?"

"I figli di Dritarashtra sono dei malvagi, e per colpa della loro empietà l'intera stirpe degli kshatriya della terra perirà in una terribile guerra. Non c'è nulla che possa essere fatto per evitarla, visto che Dritarashtra non ha voluto seguire i consigli di Vidura al momento della nascita di Duryodhana. Questa guerra è voluta dai deva e dallo stesso Signore Supremo. Presto molto dolore scorrerà come una maledizione su tutta Bharata-varsha."

Satyavati sapeva che le parole di Vyasa non avrebbero potuto rivelarsi erronee, per cui, non volendo assistere a quegli avvenimenti catastrofici, annunciò di volersi ritirare per una vita meditativa nella foresta. Ambika e Ambalika vollero seguirla.

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Il primo attentato

 Per i cinque giovani iniziò una vita completamente diversa. I tempi piacevoli ma austeri della foresta erano andati, e per la prima volta provarono le gioie del mondo regale, fatta di sfarzi e opulenze di ogni tipo.

Fra i giochi di gioventù, il tempo trascorreva piacevolmente, ma i ragazzi non prestavano minore attenzione all'apprendimento. Insieme a molti altri principi, i Pandava approfondirono gli studi a cui erano stati iniziati dai saggi della foresta. Essi erano ragazzi ingegnosi e per apprendere le cose non dovevano fare sforzi particolari. E più i giorni passavano e più risultava chiaro che i cinque figli di Pandu avessero doti straordinarie che permettevano loro di eccellere sopra tutti gli altri: Yudhisthira era il più saggio e virtuoso di tutti, Bhima il più forte, Arjuna il più abile con le armi, Nakula e Sahadeva erano i più bravi nel trattare con i cavalli.

Duryodhana, il primogenito di Dritarashtra, che cresceva in costante compagnia dei cugini, cominciava a sentirsi irritato da quella supremazia che gli rovinava i suoi giochi giovanili; non c'era sport in cui il migliore fra di loro non fosse uno dei Pandava.

Poi dall'irritazione sorse a poco a poco l'invidia e poi il rancore. Non bisogna dimenticare che se Yudhisthira fosse nato un anno dopo o se i Pandava non fossero più tornati ad Hastinapura, egli avrebbe ereditato il trono dei Bharata. La prospettiva di non poter mai diventare re infastidiva sempre più il giovane che a quell'età cominciava già a dare importanza al proprio futuro.
L'invidia divenne bruciante, in special modo nei confronti di Bhima il quale, nella sua giovanile innocenza, non si lasciava sfuggire nessuna occasione per umiliarlo davanti a tutti. In special modo nella lotta, grazie alla sua forza sovrumana, Bhima lo sconfiggeva regolarmente. Duryodhana non poteva fare a meno di ricordare i tempi passati, quando non erano ancora giunti i cugini ed egli era oggetto delle attenzioni di tutti gli abitanti a corte, ma ora tutti parlavano solo di loro, tutti elogiavano in continuazione solo loro. In quel periodo il giovane soffrì molto.

Duryodhana aveva uno zio materno che si chiamava Shakuni. Particolarmente affezionato al nipote, egli avvertì che qualcosa non lo faceva essere del suo solito umore e si chiese cosa potesse essergli successo. Così, in un momento in cui lo trovò solo, gli parlò.

"E' parecchio tempo che ti vedo adombrato e lo trovo strano. Solitamente sei sempre gioviale e pronto allo scherzo con tutti. Hai forse qualche problema? qualche pensiero che ti preoccupa particolarmente? Apriti dunque con me, Duryodhana, dimmi cos'è che ti rende così triste."

"Cosa mi preoccupa?" ribatté il principe. "E' così difficile da capire? Prima che arrivassero i Pandava io ero destinato a diventare il re dei Bharata e sicuramente l'imperatore del mondo intero. Tutte le attenzioni erano per me e tutti mi coprivate di affetto. Inoltre io ero sempre il migliore e nessuno mi vinceva nei giochi di guerra.

"Ma da quando sono arrivati loro, i figli di Pandu, ogni cosa è cambiata. Io non diventerò re a causa della cecità di mio padre, e Yudhisthira, che è nato un anno prima di me, presto salirà al trono. E come se non bastasse, la loro superiorità è reale, lui è veramente migliore di me sotto tanti aspetti e dove non riesce i suoi fedelissimi fratelli gli danno sempre il massimo appoggio. Immagina se un giorno ci dovesse essere un serio litigio fra me e Yudhisthira: hai mai visto combattere Bhima? La sua forza fisica non è umana, così finché ci sarà lui Yudhisthira può dormire sonni tranquilli. E poi Arjuna... la sua istruzione militare è appena iniziata, eppure usa le armi come se non avesse mai fatto altro fin dai primi anni della sua vita. Guarda Nakula... hai mai visto un ragazzo più bello? Le sue fattezze fisiche sono tanto perfette quanto quelle dei deva dei pianeti più alti e si batte con l'agilità di un gandharva. Le fanciulle non hanno occhi che per lui. E Sahadeva? Pensa che riesce persino a dialogare con i cavalli e li cavalca in maniera perfetta.

"Tutti e cinque sono virtuosi, gentili, intelligenti e nessuno può fare a meno di amarli incondizionatamente. Il nostro Bhishma stravede per loro, il maestro Kripa riserva per loro le sue gentilezze più particolari, i visi dei brahmana di corte si illuminano quando li vedono, e persino mio padre non nasconde il suo apprezzamento nei loro confronti. Insomma, da quando sono arrivati, io e i miei fratelli non esistiamo più e non abbiamo le stesse prospettive che avevamo prima. Considerando questa situazione, non dovrei sentirmi amareggiato?"

La sfuriata di Duryodhana fu lunga e amara; forse non aspettava altro che di sfogarsi con qualcuno, ma di sicuro aveva scelto la persona sbagliata. Ci sarebbero state molte cose che Shakuni avrebbe potuto dire per lenire il dolore del nipote, però fra le tante scelse le meno opportune. D'altra parte non tutte quelle lamentele avevano reale fondamento; era fuori dubbio che gli anziani di corte amassero i Pandava e che li riservassero di speciali premure, ma non era affatto vero che Duryodhana fosse stato accantonato. I cinque ragazzi inoltre erano vissuti nella foresta, senza nessun agio, e avevano dovuto sopportare la sofferenza di vedere il padre morto, per cui era naturale che gli anziani Kurava cercassero di farli sentire amati e protetti. Ma anche lui, Duryodhana, era al centro di manifestazioni d'affetto, anche se ovviamente non era proprio come prima della venuta dei Pandava. Un ragazzo normale della sua età si sarebbe sentito appagato da quelle attenzioni, ma egli purtroppo non era una persona normale: aveva un problema grande, intrinseco alla sua natura: era invidioso, non sopportava nessuno che avesse qualcosa più di lui. La sua gelosia era proporzionale alla forza di Bhima e all'abilità di Arjuna.

"Immaginavo qualcosa del genere," gli rispose Shakuni, "e anch'io stavo considerando con serietà la situazione. Io so che i Pandava hanno qualità eccezionali, che sembrano quasi di origine divina. In tutto il mondo non si trovano giovani come loro. Quando saranno cresciuti prenderanno il comando di questo vasto regno per diritto di nascita, e sicuramente governeranno con forza. Allora cosa rimarrà a te e ai tuoi fratelli? Al massimo il comando di qualche provincia, e sarete per sempre assoggettati ai presuntuosi cugini. Qualcuno potrebbe dire che essi sono così buoni d'animo che non faranno mai pesare il fatto di essere i governanti supremi, ma noi lo sappiamo che il potere dà alla testa e fa perdere ogni virtù. Nipote mio, sono d'accordo con te: tutto fa credere che un giorno, ritenendoti un potenziale nemico, i figli di Pandu marceranno contro di te e i tuoi fratelli allo scopo di eliminarvi. Io non ho dubbi che accadrà proprio questo."

Perché Shakuni aveva detto quelle parole al nipote? Probabilmente riteneva proprio che le cose sarebbe dovute inevitabilmente andare in quel modo, ma c'erano anche altre ragioni. Non dimentichiamo che egli era lo zio diretto di Duryodhana e che logicamente preferiva avere lui come re dei Bharata piuttosto che Yudhisthira, del quale temeva la potenza. Un giorno che il giovane figlio di Gandhari fosse diventato re, il suo regno, quello dei Gandhara, ne avrebbe tratto grandi profitti. Sicuramente non poteva prevedere quali pieghe avrebbe preso il futuro.

"Ma del resto cosa si può fare?" riprese Duryodhana. "Yudhisthira è l'erede di diritto e noi non possiamo convincere mio padre, Bhishma e tutti gli anziani ad andare contro le ordinanze scritturali che sono sempre state osservate da ogni famiglia nobile. Per noi non c'è nulla da fare."

"Un principe come te, che appartiene a una stirpe celebre in tutto il mondo per valore e intelligenza," ribatté in tono com-battivo lo zio, "non deve mai sentirsi inerte davanti alle difficoltà, ma ha sempre il dovere di agire con grande vigore; ne va di mezzo il futuro tuo e dei tuoi familiari, me stesso compreso. Agisci con forza. Non è vero che non si può fare niente per risolvere questa situazione. Per ogni problema esiste una soluzione; basta saperla trovare."

Duryodhana fu colpito da quelle parole. Fino ad allora aveva considerato la cosa come una maledizione alla quale era impossibile sottrarsi, per cui ci era vissuto accanto con rassegnazione, ma ora, ascoltate le parole dello zio, una luce di speranza si accese nel suo cuore e le prime idee diaboliche cominciarono velocemente a scorrergli nell'intimo corroso dall'invidia.
"Bisogna al più presto togliere il potere ai Pandava," incalzava Shakuni, "perché col tempo essi stringeranno nuove amicizie e alleanze, e la loro potenza aumenterà, fino a che arriveremo al punto in cui essi saranno realmente diventati invincibili."

Convinto da Shakuni, Duryodhana liberò la propria invidia di qualsiasi inibizione.

"E' vero, dobbiamo agire contro quella che è la fonte prima della loro forza e io so qual’è: Bhima. Lo possiamo vedere persino quando giochiamo. Chiunque attacca Yudhisthira, immediatamente Bhima interviene con la sua forza sovrumana e lo libera da ogni pericolo. E più il tempo passa, più diventa forte. Se vogliamo liberarci dei Pandava dobbiamo prima eliminare Bhima."

Così, messo al corrente anche Dusshasana, il fratello minore, concertarono il piano di avvelenare e gettare Bhima nel fiume. La cosa non riuscì loro difficile perché nessuno avrebbe mai sospettato che Duryodhana fosse arrivato a tal punto. La sua gelosia nei confronti dei cugini era risaputa, ma sembrava più che altro una cosa da ragazzi.

I tre cospiratori mischiarono del veleno nel cibo del Pandava, il quale, dopo averlo mangiato, cadde al suolo apparentemente senza vita. A quel punto lo legarono e lo gettarono nel Gange. Convinti di essere riusciti ad ucciderlo e, pienamente soddisfatti della loro nefandezza, ritornarono al palazzo.

Intanto il corpo di Bhima era stato inghiottito dalle acque del fiume e sprofondava inesorabilmente verso gli abissi.

Nelle profondità del Gange vivevano molti serpenti velenosi che, scorta quella presenza umana, temettero di essere in pericolo per cui la attaccarono, mordendola ripetutamente. Il veleno dei naga, mischiatosi a quello che Bhima aveva ingerito, causò una reazione chimica tale da agire come antidoto. Vedendo quel corpo muoversi nonostante il loro potentissimo veleno, essi se ne stupirono e corsero ad informare il loro sovrano Vasuki dello strano avvenimento. Questi volle recarsi di persona sul posto per accertarsi dell'accaduto e immediatamente riconobbe in quella persona priva di sensi Bhima.

"Senza saperlo avete salvato la vita al prode figlio di Pandu," proclamò Vasuki, "che ci aiuterà a liberare il mondo dalla indesiderata potenza degli asura. Sorvegliatelo e curatelo. E appena starà sul punto di svegliarsi, correte ad avvertirmi."

Bhima dormì profondamente per qualche giorno. Poi cominciò a sentire la coscienza tornare. Ma nel momento in cui riaprì gli occhi quale fu il suo stupore nel vedersi circondato di serpenti. I naga, infatti, appena si erano resi conto che il loro ospite si stava risvegliando, si erano affrettati a chiamare Vasuki. Così in quel momento erano tutti lì, al suo capezzale.

"Dove mi trovo? E chi siete voi? Perché sono in queste acque?"

"Io sono Vasuki, il figlio maggiore di Maharshi Kashyapa. Tu sei affondato in queste acque e stavi per morire a causa di un potente veleno che avevi ingerito, ma loro, mordendoti, ti hanno salvato. Devi sapere che tu sei protetto dal Brahman Supremo, la Persona Divina stessa, che veglia su di te e sui tuoi fratelli. Sappi che si avvicinano tempi molto difficili e che le vostre vite saranno costantemente in pericolo. Non fidatevi dei vostri cugini: essi sono anime malefiche, specialmente Duryodhana, il quale è invidioso di voi. E' stato lui a mettere il veleno nel cibo, e se non fosse stato per la tua nascita divina e per la protezione di cui godi insieme ai tuoi fratelli, saresti morto. Torna da loro, e d'ora in poi vigilate attentamente."

Vasuki diede da bere a Bhima una pozione divina che moltiplicò la sua già considerevole forza fisica. Per effetto di quell'elisir, egli sprofondò di nuovo in un sonno profondo, e dormì per otto giorni. E dopo averne trascorso altri due in compagnia di Vasuki, il Pandava tornò sulla terra.

Ai fratelli, che nel frattempo avevano vissuto momenti di profonda angoscia, raccontò tutto ciò che era successo.

"Da oggi in poi dovremo stare molto attenti, poiché sembra che Duryodhana abbia ormai messo fine al periodo della fanciullezza e abbia intenzione di commettere azioni diaboliche," concluse Yudhisthira.

Kunti, Vidura e Bhishma, venuti a conoscenza di quel terribile avvenimento, cominciarono seriamente a preoccuparsi.

Quando Duryodhana seppe che Bhima era ancora vivo, si riunì con Shakuni e Dusshasana per progettare altri piani su come sbarazzarsi degli invadenti cugini.

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L'arrivo di Drona

 Un giorno, mentre i principi giocavano in giardino un uomo alto vestito di nero, con la testa coperta da un grande cappuccio, si fermò ad osservarli. A un certo punto la palla con la quale i ragazzi giocavano cadde nel pozzo e per quanti sforzi essi facessero non riuscivano a recuperarla.
Il viandante rise a voce alta.

"E' mai possibile che i discendenti di una stirpe prestigiosa come quella dei Bharata non sappiano fare una cosa così semplice come quella di recuperare una palla caduta in un pozzo?"

"Non è affatto facile recuperarla senza bagnarsi," risposero i principi alquanto stizziti, "ma se tu credi di poterci riuscire, allora mostraci come fare."

Lo sconosciuto sorrise; poi chiese un arco e vi pose una freccia. Con un abile gioco di rimbalzi riuscì a recuperare la palla; dopodiché volle un anello d'oro. Yudhisthira gli diede il suo e questi, tra la sorpresa generale, lo gettò nel pozzo. Prima che i giovani potessero protestare, prese dei fili d'erba dal terreno e mormorò dei mantra, alchè con decisione li scagliò nel pozzo, agganciando l'anello. Poi ne lanciò degli altri in rapida successione e ad ognuno collegava il filo d'erba precedente, formando una catena. In quel modo riuscì a tirare fuori l'anello. I principi erano esterrefatti.

"Chi sei tu? e qual è il tuo nome? Non abbiamo mai visto fare cose del genere con una tale bravura."

"Bhishma mi conosce," rispose. "Andate da lui e raccontategli ciò che ho fatto. Allora saprete il mio nome."

Appena Bhishma sentì come il misterioso personaggio avesse recuperato la palla e l'anello, capì subito che si trattava di Drona e corse fuori a riceverlo. Era il migliore maestro d'armi del tempo. La sua abilità era incomparabile e tutti i re di Bharata-varsha facevano a gara perché egli istruisse i loro figli nella nobile arte marziale. I principi Bharata fino ad allora erano stati istruiti da Kripa, ma era fuori dubbio il fatto che Drona potesse offrire loro un insegnamento a un livello ben diverso, che solo lui era in grado di impartire. Pertanto Bhishma si sentì onorato di chiedergli di rimanere a corte come Acarya di tutti i principi.

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La storia di Drona e Drupada

Chi era Drona?
Figlio del celebre saggio Bharadvaja, questi era un brahmana rinomato per la grande conoscenza e santità, ma privo di qualsiasi ricchezza materiale. Per quella ragione era giunto alla corte dei Kuru. Ma per capire le ragioni dell'arrivo di questo importante personaggio bisogna fare qualche passo indietro e ritornare ai tempi della sua infanzia.

Quando era poco più di un bambino, Drona era stato il compagno di giochi di Drupada, il figlio del re di Panchala. Durante i loro giochi Drupada gli aveva promesso in più riprese che, in segno di profondo apprezzamento verso di lui, quando avesse ereditato il trono del padre gli avrebbe ceduto metà del regno.

Erano passati tanti anni e i due amici si erano ormai persi di vista. Drona aveva sposato Kripi, figlia di Gautama Muni e sorella di Kripa. Come abbiamo già detto in precedenza, la loro vita si incentrava sugli studi e le adorazioni religiose, per cui erano pieni di conoscenza spirituale e di serenità interiore, ma non possedevano niente, al punto da non potersi permettere neanche di dar da bere del latte al figliolo Asvatthama. Ma la cosa non era sembrata tanto tremenda a Drona fino al giorno in cui gli amici di Asvatthama non avevano pensato di burlarsi di lui e, preparata una bevanda a base di polvere di riso, gliel'avevano porta dicendo:

"Bevi, questo è latte. L'abbiamo messo da parte apposta per te."

Il ragazzo, che non credeva ai propri occhi, lo aveva bevuto tutto d'un fiato. E tanta era stata la felicità di aver potuto finalmente assaporare del latte che era corso dai genitori danzando e gridando:

"Ho bevuto il latte! ho bevuto il latte!"

Quella volta Drona si era reso conto che il loro stato di povertà era veramente esagerato e che il figlio ne stava soffrendo troppo, e poiché egli non aveva mai dimenticato le promesse fatte dall'amico aveva pensato bene che fosse giunto il momento di recarsi da Drupada. Ma quando questi aveva ascoltato la richiesta del brahmana lo aveva deriso in tono sprezzante.

"Come hai potuto prendere sul serio una promessa del genere?" aveva detto. "Quando si è ragazzi si dicono tante cose insensate... non crederai davvero che io ti voglia dare metà del mio regno?"

E tutti i presenti avevano riso di lui. Maltrattato e beffato, Drona era stato cacciato via. Egli in seguito aveva tentato in vari modi di procurarsi quel benessere che tanto avrebbe giovato alla sua famiglia, ma a quei tempi imperversava una grande crisi economica e nessuno aveva potuto accontentarlo.

Un giorno era venuto a sapere che Parashurama stava distribuendo ai brahmana le sue ricchezze, ma lo sfortunato Drona era arrivato troppo tardi: a Parashurama erano rimaste solo le armi. Così aveva accettato quelle, con tutti i segreti per utilizzarle in battaglia. Non aveva trovato le ricchezze, ma per lo meno aveva un mestiere e anche il mezzo di vendicarsi dalle umiliazione subite da Drupada.

Per questa ragione era venuto ad Hastinapura. Con dei discepoli come i principi Bharata e con un alleato come Bhishma avrebbe potuto ottenere oltre alle ricchezze anche la vendetta.

Così ebbe inizio il corso di insegnamento dei Pandava, tenuto dal sapiente e severo maestro. Fra tutti, nonostante Drona fosse totalmente imparziale, il migliore si rivelò Arjuna, il terzo dei fratelli Pandava, per cui solo a lui, e neanche al suo stesso figlio, affidò il segreto di come lanciare e ritirare il Brahmastra, una micidiale arma atomica, ammonendolo però di usarla solo contro nemici che non fossero di questo mondo. Arjuna accettò il dono con quella naturale modestia che lo aveva sempre fatto amare da tutti.

20
Ekalavya il nishada

 Un giorno arrivò ad Hastinapura un giovane di pelle molto scura e dai vestiti laceri che, con profonda umiltà, chiese al maestro di accettarlo come studente. Drona lo guardò con sospetto.

"Tu sai che io accetto nella mia scuola solo giovani di sangue reale e di stirpe aryana," gli disse, "perciò prima che io ti prenda sotto la mia direzione è necessario che tu mi parli della tua discendenza."

Il giovane non pensò neanche per un attimo di mentire a colui che dentro di sé aveva già accettato come sua guida; sapeva bene che un rapporto importante come quello col proprio insegnante non poteva cominciare con una bugia tanto grossa.

"Mi chiamo Ekalavya," rispose con tono gentile, "e mio padre è il re dei Nishada. So che il mio popolo non è considerato aryano, ma ti prego di accettarmi ugualmente. Io sarò per te un discepolo fedelissimo e mi impegnerò al massimo per seguire le tue istruzioni. Sii misericordioso. Io non potrei accettare nessun altro guru all'infuori di te."

I Nishada erano considerati un popolo dai costumi barbarici, e così Drona, per quanto avesse apprezzato le parole sincere del giovane, declinò gentilmente la richiesta.

La delusione non fece cambiare idea a Ekalavya che divenne ancora più deciso a prendere istruzioni solo da Drona. Così si ritirò nella foresta e costruì una statua di creta del tutto simile a colui che oramai considerava suo acarya e lì si esercitò, adorando e venerando quella forma.

Passò del tempo.

Un giorno, mentre i principi erano nella foresta, uno dei loro cani s'imbattè nella radura dove Ekalavya si stava esercitando. Vedendo quella figura alta e scura, l'animale s'impaurì e abbaiò, ma prima che potesse richiuderla una serie di frecce gli bloccarono la bocca senza ferirlo. Con quell'insolita museruola, il cane spaventato corse dai padroni, che si stupirono della prodezza dello sconosciuto arciere. Venuto a conoscenza del fatto, Drona volle approfondire la questione: accompagnato da Arjuna, cercò e trovò Ekalavya. Il giovane Nishada, appena vide il maestro, gli si gettò rispettosamente ai piedi.

"Chi ti ha insegnato a usare l'arco in quella maniera?" gli chiese.

"Il mio guru è Drona," rispose il giovane, "e prendo ordini solo da lui."
La questione era delicata. I Nishada erano una popolazione tradizionalmente nemica dei Bharata e la loro mancanza delle fondamentali virtù spirituali li rendeva tutti potenzialmente nemici dei Pandava. Doveva fare in modo che Ekalavya non continuasse a progredire in quel modo, che non diventasse più abile di Arjuna. Per qualche istante rifletté sulla questione, poi disse:

"Se io sono il tuo maestro, allora mi devi il guru-dakshina."

"Sono pronto a darti qualsiasi cosa," rispose Ekalavya, al quale non sembrava vero di essere stato accettato come discepolo, "dimmi cosa posso fare."

"Voglio la cosa più preziosa che hai. Visto che hai imparato a usare l'arco così bene, devi darmi il tuo pollice destro."

Senza pensarci, Ekalavya se ne privò.

Così mutilato, continuò ad esercitarsi e nonostante tutto divenne un valoroso arciere, ma perse molta della sua velocità. In questo modo Drona aveva assicurato la futura supremazia di Arjuna nell'uso dell'arco.

Qualche anno dopo, prima della fatale guerra di Kurukshetra, Ekalavya sarebbe morto ucciso da Krishna durante un combattimento.

21
La storia di Karna

 Ricorderemo come Kunti, prima del matrimonio con Pandu, avesse generato un figlio da Vivasvan, il deva del sole. Poiché Karna è uno dei personaggi chiave del Maha-bharata, dobbiamo di nuovo retrocedere nel tempo per scorrere le pagine della storia di questa particolare figura sino al momento presente.

Abbandonata alla corrente del Gange e seguita da una ragazza che la controllava dalla riva, la cesta con il neonato era stata raccolta da Atiratha e da sua moglie Radha. Non sapendo chi fossero i genitori che l'avevano abbandonato, i due, che erano privi di figli, avevano deciso di adottare il bambino.

Gli anni erano passati. Karna era cresciuto.

Atiratha apparteneva alla casta dei suta, i quali si occupavano di guidare i carri da guerra degli kshatriya. Essendo quella la sua attività naturale, aveva tentato di insegnarla al figlio, introducendolo nei segreti del mestiere, ma fin dall'infanzia Karna si era sempre rifiutato di seguire il padre. Non gli piaceva guidare i carri, né ricevere ordini dai guerrieri. Al contrario rimaneva incantato appena vedeva un arco, una spada, o un celebre guerriero in groppa al suo cavallo. Avrebbe voluto diventare uno kshatriya, non un suta.

Quando ne aveva parlato al padre, questi era rimasto alquanto dubbioso, consapevole di quanto fosse complicato a quei tempi cambiare i doveri occupazionali pertinenti alla casta di nascita. Per anni aveva tentato di fargli cambiare idea, ma inutilmente: Karna voleva diventare un soldato a tutti i costi.

Così un giorno il padre gli aveva detto:

"Io non posso insegnarti a combattere, ma se proprio vuoi imparare devi trovare un maestro che ti istruisca; non puoi farlo da solo."

E Karna, spinto da quella forte natura guerriera che da sempre sentiva dentro di sé, arrivato alla giusta età aveva lasciato casa e si era messo alla ricerca di un maestro degno che lo iniziasse alle nobili arti marziali. Ma quello, purtroppo, non era l'unico cruccio che turbava la vita dello sfortunato: un altro problema lo angosciava enormemente. Il padre gli aveva raccontato, infatti, di come lo avesse raccolto dalle acque del Gange e del mistero che aleggiava intorno alla sua nascita. Il desiderio di scoprire le sue vere origini aveva sempre pesato in maniera determinante sul suo cuore.

Nei suoi viaggi alla ricerca di un guru, lo troviamo anche ad Hastinapura, dove sarebbe stato rifiutato da Drona, per la stessa ragione per cui era stato rifiutato Ekalavya. Ma Karna non aveva giurato eterna dedizione a quel particolare maestro, il suo più forte desiderio era di diventare uno kshatriya, quindi un qualsiasi maestro, purché qualificato, sarebbe andato bene. Ma nessuno aveva potuto accettarlo come discepolo a causa dell'umiltà delle sue origini.

Da chiunque egli si recasse la risposta che riceveva era la stessa: "sei il figlio di un suta, non posso accettarti come discepolo."

E così Karna aveva continuato a vagare, sentendosi ad ogni rifiuto sempre più frustrato e umiliato: nessuno gli voleva insegnare l'arte del combattimento. Più di una volta si era sentito scoraggiato, ma al pensiero che con tutta probabilità non avrebbe potuto mai fare nient'altro che il suta, aveva preferito infine correre un grosso rischio: andare da Parashurama e quando egli gli avrebbe chiesto della sua famiglia gli avrebbe mentito.

"Se gli dico che sono un suta, egli mi rifiuterà per la stessa ragione per la quale mi hanno rifiutato gli altri; se invece affermo di essere uno kshatriya mi respingerà lo stesso in quanto odia gli kshatriya. Quindi dovrò dirgli che sono un brahmana."

Le considerazioni di Karna erano corrette; infatti chi conosce la storia di Parashurama sa che questi era un avatara divino sceso sulla terra per annientare l'intera stirpe guerriera, cosa che aveva fatto per ben ventuno volte. Nella sua stessa indole esisteva dunque un forte astio verso tutta quella classe che aveva combattuto aspramente. Presentarsi come tale sarebbe stato addirittura meno consigliabile che presentarsi come un suta.
Aveva viaggiato per giorni, finché era giunto nel ritiro himalayano del saggio. Nel vederlo aveva avuto lì per lì un attimo di esitazione. L'aspetto di Parashurama era davvero terribile: alto e imponente, la figura forte e possente, era vestito con semplici indumenti da asceta e portava i capelli raccolti in un unico punto sopra la testa. Ma ciò che lo aveva colpito in maniera particolare erano stati gli occhi, che brillavano come carboni ardenti, e una forte energia mistica che si sprigionava dall'intero essere. Dopo avergli offerto rispettosi omaggi, Karna gli aveva rivolto la parola.

"Rispettabile rishi, sono il figlio di un brahmana e sono venuto da te per apprendere l'arte dell'uso delle armi. Accettami dunque come discepolo e io ti servirò con tutto me stesso."

Così Parashurama lo aveva tenuto con sé addentrandolo nei più reconditi segreti della scienza marziale. Col trascorrere del tempo Karna si era sentito baciato dalla fortuna perché neanche nei suoi sogni più azzardati aveva mai immaginato di poter vivere giorni di così intensa felicità. Tuttavia l'esistenza di Karna non era affatto destinata a essere lieta; la malasorte era ancora in agguato, pronta a danneggiare di nuovo il generoso giovane.

Un giorno, mentre il maestro riposava con la testa poggiata sulle sue gambe, un insetto carnivoro si era attaccato al ginocchio di Karna e aveva cominciato a morderlo. Il dolore era intenso e, man mano che l'animale penetrava nella gamba, diventava insopportabile, ma lui, che non voleva disturbare il sonno del maestro, non si era mosso né aveva proferito lamento, tollerando con grande forza d'animo. Ma nonostante gli sforzi del discepolo quando il sangue aveva cominciato a uscire, l'odore forte aveva svegliato Parashurama che aveva compreso all'istante cos'era successo. I suoi occhi avevano cambiato subitamente espressione e si erano accesi come il fuoco del sacrificio quando l'hotri lascia cadere il burro chiarificato.

"Mi hai mentito," aveva detto Parashurama con voce ferma, "tu non sei un brahmana. Non puoi esserlo. Solo uno kshatriya avrebbe potuto sopportare un dolore simile. Mi hai ingannato. Non capisci quanto sia grave mentire al proprio maestro?"

"L'ho fatto solo perché volevo diventare tuo allievo," aveva tentato di discolparsi Karna, "e per nessun altro motivo. Ti prego, perdonami, non cacciarmi."

"La colpa di aver mentito al proprio guru è così grave che non posso perdonarti. Tu mi hai strappato con l'inganno i segreti delle armi umane e divine, ma sappi che nel momento in cui ne avrai più bisogno dimenticherai l'arte di utilizzarle e nella tua mente tutto diventerà buio, oscuro. In quel momento, quando sarai di fronte al tuo più odiato nemico, rimarrai inerme e non potrai difenderti."

Maledetto e cacciato, Karna se ne era andato con il cuore gonfio di amarezza.

Qualche giorno dopo un altro sfortunato evento lo aveva colpito. Per errore aveva ucciso la mucca di un brahmana, il quale infuriato l'aveva maledetto:
"Quando ti troverai davanti al tuo più grande nemico, le ruote del tuo carro sprofonderanno nel fango e non riuscirai a sollevarle."

Dopo quel secondo episodio, Karna era ritornato alla casa dei genitori.

Dopo qualche tempo era venuto a conoscenza del torneo che si sarebbe tenuto ad Hastinapura: in quell'occasione si sarebbero riuniti i principi dei casati più rinomati e avrebbero dato spettacolo di abilità marziali: poteva essere la sua grande occasione! Così aveva deciso di andarci.

In questo modo la storia della vita di Karna si congiunge a quella dei Pandava e dei Kurava.

22
Il torneo

 Intanto grazie agli insegnamenti del guru, i giovani avevano sviluppato grandi doti guerriere nell'uso di tutti i tipi di armi. Come era tradizione a quei tempi, Drona, Bhishma, Dritarashtra e gli anziani della corte ritennero che era arrivato il momento di darne una dimostrazione al popolo.

Quelle erano occasioni di grande festa, e i cittadini avevano piacere di ammirare la forza di coloro che sarebbero stati i loro futuri reggenti. Per l'occasione era fatto costruire un gigantesco anfiteatro in grado di ospitare centinaia di migliaia di persone.

E arrivò il giorno.

Fu uno spettacolo superbo. A turno i principi si cimentarono in una fantastica mostra di destrezza, forza e coraggio. Il momento più caldo fu senz'altro quando, armati di mazza, si scontrarono Bhima e Duryodhana: neanche il carattere amichevole della rappresentazione riuscì a nascondere i vecchi rancori; per separarli ci vollero parecchi attendenti che, solo dopo grandi sforzi, riusci-rono a farli smettere.

Comunque fra tutti colui che fu maggiormente applaudito e che risplendette di luce abbagliante di gloria fu Arjuna, il quale mostrò grandi numeri di abilità, specialmente nell'uso dell'arco, conquistandosi il cuore di tutti. Ma del resto, chi non amava già Arjuna, così ricco di grandi qualità umane e spirituali? Lo spettacolo di sovrumana destrezza durò a lungo.

Ma mentre il pubblico stava tributando al Pandava il meritato applauso, un improvviso fragore proveniente dalle tribune richiamò l'attenzione di tutti. Immediatamente anche il minimo mormorio si placò e tutti si voltarono in quella direzione. Proprio vicino a una delle entrate, si stagliò una figura alta, dall'aspetto possente e dai lineamenti nobili. Era Karna che, con i lunghi capelli biondi, risplendeva come il sole a mezzogiorno. Aveva attirato lo sguardo di tutti su di sé sbattendo le sue ascelle con tanta violenza da provocare un rumore simile al tuono. La sua voce era profonda e quasi melodiosa.

"Se questo torneo," disse guardando Arjuna, "è stato indetto per mostrare il valore, il coraggio e la forza fisica di chiunque ne possegga, allora vorrei dimostrarti che non solo tu, Partha, ne sei ricco, e che al contrario ciò che ci hai fatto vedere sono cose straordinarie solo per il semplice popolo, ma non sorprendono i veri guerrieri valorosi."

Bhishma gli concesse il permesso di esibirsi, e bisbigli di stupore si levarono dalla folla quando questi ripeté con aria di noncuranza le prodezze che Arjuna aveva compiuto; poi disse:

"Hai visto che ciò che hai fatto non è così straordinario? Ora battiti contro di me."

Per nulla intimorito Arjuna si preparò al duello. Karna lo guardava come se volesse incenerirlo, il suo cuore era pieno di rabbia verso coloro che erano kshatriya anche di nascita oltre che per valore. Quando aveva visto Arjuna combattere aveva visto che questi era il migliore di tutti e aveva desiderato sconfiggerlo. Come poteva immaginare che il suo antagonista era in realtà il fratello minore?

In quel momento Bhishma, preoccupato, si alzò e ordinò di fermare tutto. Poi parlò.

"Giovane sconosciuto, come sai, le nostre tradizioni impediscono agli kshatriya di combattere contro chi non sia qualificato in termini di nobiltà. Tu hai lanciato la sfida a un guerriero che tutti conosciamo, Arjuna, il figlio di Pandu. Egli è un principe di nobili origini ed è perfettamente qualificato per un duello. Ma noi non conosciamo te. Se vuoi batterti devi prima dirci chi sei e chi sono i tuoi genitori."

A quelle parole Karna si sentì disperato. Ancora ritornava il solito assurdo problema che gli impediva di esternare ciò che sentiva dentro di sé. Saputa la verità, Bhima lo derise chiamandolo vile auriga.

Ma Duryodhana, che fino a quel momento aveva osservato la scena senza dire una parola, guardando Karna con attenzione si convinse che qualcosa di strano nella sua nascita doveva esserci, in quanto tutto nella sua persona rivelava una certa signorilità aristocratica. Tutti avevano ben visto quel che era in grado di fare con le armi e ciò lo indusse a realizzare che un uomo come quello gli sarebbe tornato sicuramente utile in futuro. Si alzò dal seggio e disse:

"Come può un uomo simile essere nato in una famiglia di suta? Non è possibile. Guardatelo. E' evidente che fa parte della nostra casta, anzi si direbbe di origini celestiali. Osservatelo bene: non avete visto cosa ha saputo fare con le armi? Io vi dico che Karna è uno kshatriya e per dimostrarvi che la mia convinzione è totale, lo nomino re di Anga."

La nomina del figlio del suta al trono di Anga causò un enorme clamore. Dopo aver proferito tali parole, Duryodhana condusse Karna con sé. Da quel giorno nacque una saldissima e profondissima amicizia tra i due.

I Pandava intanto si erano già pentiti di aver insultato Karna, poiché a loro era chiaro, come lo era a tutti, che questi sarebbe stato per sempre un loro terribile nemico. Cominciarono a temerlo in modo particolare.

23
La vendetta di Drona

 Trascorsi anche i giorni dello spiacevole incidente del torneo, il corso di studi dei principi poteva considerarsi praticamente concluso. Drona si sentiva soddisfatto di tutti, e in particolare dei figli di Pandu che erano diventati veramente dei combattenti eccezionali. Ora il suo sogno sarebbe potuto diventare realtà.

Un giorno riunì a sé i discepoli.

"Tu ci hai insegnato tutto ciò che sappiamo," gli disse Yudhisthira, "e hai fatto così tanto per noi che qualsiasi cosa sarà insufficiente per ripagarti. Ma la tradizione vuole che il discepolo, alla fine dei suoi studi, tenti di sdebitarsi col proprio guru offrendogli quello che egli desidera. Noi siamo in debito con te. Dicci: c'è qualcosa che possiamo fare?"

"Sì, c'è una cosa che dovete fare per me," rispose Drona, "ma prima promettetemi che non esiterete a fare ciò che vi chiederò."

A quelle parole tutti ebbero un momento di esitazione, nel timore che poi non sarebbero stati in grado di soddisfare le sue richieste. Solo Arjuna rispose senza indugi.

"Qualunque cosa tu chiederai io lo farò."

Drona abbracciò e benedisse Arjuna. Poi disse:

"Voglio che mi portiate prigioniero qui ad Hastinapura il re Drupada."

Drona raccontò poi la storia del dissenso con Drupada, e mentre raccontava l'entusiasmo guerriero dei giovani cresceva sempre di più. Non avevano immaginato che avrebbero potuto ritrovarsi così presto su un campo di battaglia.

Non volendo perdere tempo, tutti si prepararono per la spedizione con grande solerzia, e in pochi giorni il nutrito gruppo dei discepoli di Drona si ritrovò alle porte del regno nemico.

Ma le spie di Drupada erano sempre all'erta, per cui messo al corrente della spedizione, il re si era già preparato alla battaglia.

Appena Duryodhana vide in lontananza l'esercito nemico che veniva loro incontro, il suo spirito s'infiammò e decise di attaccare subito, certo delle propria superiorità militare. E senza prendere alcuna precauzione, guidato principalmente dal suo ardore, ordinò agli altri di seguirlo. Ma i Pandava, che avevano sentito parlare di Drupada e dei suoi guerrieri come di soldati dal valore impareggiabile, non condividevano quella strategia.

"Cugino, Drupada non è un soldato da sottovalutare," disse Yudhistihira, "così come non lo sono i generali del suo esercito. Dobbiamo concertare qualche strategia prudente e non lanciarci in questo modo all'attacco."

"Per sconfiggere questo nemico non abbiamo necessità di strategie. Dobbiamo solo attaccare e sconfiggerlo. Ma se avete paura potete aspettarci qui. Noi conquisteremo il guru-dakshina per soddisfare il nostro maestro."
Offesi, i Pandava dichiararono che sarebbero scesi sul campo di battaglia solo dopo la sconfitta di Duryodhana. In poco tempo le previsioni dei figli di Pandu si avverarono: i giovani Kurava furono sgominati.

Nel vedere Duryodhana e gli altri tornare feriti e spaventati, i cinque fratelli concertarono un piano e poi andarono all'attacco. Dopo un aspro combattimento, sopraffecero e presero prigioniero il potente e valoroso re.

Il drappello ripartì per Hastinapura.

E i due si ritrovarono di nuovo l'uno di fronte all'altro. Era passato molto tempo dall'ultima volta che si erano incontrati, ma ora la situazione era cambiata: il re non era più sul trono e il brahmana non era più vestito poveramente né chiedeva l'elemosina. Le circostanze si erano invertite. Fu Drona a rompere il silenzio.

"Da ragazzi siamo stati grandi amici, abbiamo giocato insieme e ci siamo divisi tutto quello che avevamo; perché te ne sei dimenticato e mi hai trattato in quel modo? Guarda, sei mio prigioniero, potrei ucciderti e prendere tutto quello che possiedi, ma non lo farò. Per dimostrarti che io ricordo la nostra vecchia amicizia, prenderò solo quello che mi spetta: mi avevi promesso metà del tuo regno e quella prenderò. Il resto sarà ancora tuo."

Drupada fu rimesso in libertà. Ma non riuscì mai a perdonare l'umiliazione subita e cercò sempre il modo di ottenere la propria vendetta.

24
Il complotto

 Dopo qualche tempo, Dritarashtra investì Yudhisthira della carica di principe ereditario.

Ovviamente ciò non poteva rendere il re particolarmente felice, in quanto avrebbe preferito che a succedergli fosse stato il figlio Duryodhana; ma certamente non poteva opporsi alle millenarie tradizioni vediche. Infatti, non avendo egli potuto governare a causa della propria cecità, Duryodhana aveva perduto il diritto automatico al trono. In quella circostanza il re sarebbe dovuto diventare il primogenito fra i suoi figli e quelli di Pandu. Yudhisthira era nato un anno prima, dunque aveva pieno diritto al trono. Duryodhana moriva dall'invidia e dal dolore.

In quel periodo Bhima e Duryodhana lasciarono Hastinapura per andare a Dvaraka, dove presero lezioni sull'uso della mazza da Balarama, il fratello di Krishna, perfezionando ulteriormente la loro destrezza guerriera.

E sempre nello stesso periodo anche Arjuna ricevette ulteriori istruzioni da Drona, il quale gli diede l'opportunità di migliorarsi con l'arco.

Un giorno il Pandava chiese al maestro:

"C'è qualcuno su questa Terra che può vincermi in duello?"

"Sì, c'è," rispose Drona. "E' Krishna, della razza dei Vrishni. Egli non è un uomo come tutti gli altri, la sua origine è divina e nessuno potrà mai sconfiggerlo. Devi stringere con lui la più solida delle amicizie e sotto la sua protezione anche tu diventerai invincibile."

Trascorse un anno relativamente tranquillo, durante il quale l'amore del popolo verso i Pandava cresceva, così come lievitava l'odio di Duryodhana. Un giorno, allo stremo della sopportazione, fece chiamare Shakuni per parlargli.

"Non riesco più a tollerare la vista di questi maledetti che prosperano ogni giorno di più. Il popolo è dalla loro parte, l'esercito anche, il patriarca Bhishma nutre per loro un grande affetto, e Drona apprezza Arjuna al punto che sembra che esista solo lui. Persino mio padre non ha mai nascosto l'affetto per questi diabolici cugini. Sono stati abili, non c'è che dire, a guadagnarsi la simpatia di tutti."

"Io te lo dissi tempo fa," ribatté Shakuni, "che un nemico va distrutto subito, prima che abbia la possibilità di diventare forte attraverso alleanze. Duryodhana, per il bene tuo e del casato a cui appartieni, devi distruggere i Pandava!"

"Lo so bene che questa è l'unica cosa da farsi, ma abbiamo già provato ed abbiamo fallito. Questa volta dovremo fare le cose con maggiore accortezza perché non possiamo permetterci di sbagliare ancora, o rischieremo di perdere i nostri alleati."

Così con Shakuni, Karna e Dusshasana, Duryodhana progettò un terribile complotto per uccidere i Pandava.

Il primo passo fu di convincere il padre a mandare i nipoti a Varanavata per un periodo di riposo; la cosa non fu difficile, in quanto Duryodhana riusciva quasi sempre ad ottenere da quest'ultimo qualsiasi cosa. Dal canto suo Dritarashtra sospettò che il figlio stesse complottando qualcosa di grave. E tuttavia non volle ostacolarlo. Sentiva questa sua rivalità nei confronti dei Pandava diventare ogni giorno più prepotente e pur di non vederlo soffrire si augurava che Duryodhana riuscisse ad ottenere ciò che desiderava in maniera non violenta.

Ottenuto il consenso del padre, Duryodhana fece costruire una grande casa con materiali tutti altamente infiammabili e mandò sul posto Purochana, suo fedele amico, con l'intenzione di farvi appiccare fuoco appena se ne fosse presentata l'occasione.

A Varanavata i Pandava correvano un pericolo mortale.

25
Gli avvenimenti di Varanavata

Giunse il giorno della partenza.

Anche Vidura aveva intuito che c'era qualcosa di strano in quel viaggio organizzato dai nipoti, e che i figli di Pandu potevano essere in pericolo. Avendo così indagato sui retroscena dell'organizzazione del viaggio, era venuto a conoscenza del complotto criminale, ma aveva preferito non mandare tutto a monte in quanto sarebbe stato perfettamente inutile: Duryodhana avrebbe sicura-mente atteso un'altra occasione per eliminare i Pandava. Perciò durante il commiato, parlando un dialetto che solo pochi conoscevano, rivolse oscuri messaggi di avvertimento a Yudhisthira, il quale capì e gli sorrise con riconoscenza. Accompagnati da Kunti, i Pandava partirono.

Già messi all'erta da Vidura, non ci misero molto ad accorgersi di come era stata costruita la casa, per cui decisero di non fidarsi di nessuno e di stare sempre all'erta. Durante il giorno e la notte c'era sempre uno di loro che montava la guardia, e ciò rendeva impossibile a Purochana di appiccare il fuoco. Ma quella situazione non poteva durare all'infinito.

"Non possiamo continuare così per sempre," rifletté a voce alta Yudhisthira un giorno, "dobbiamo fare qualcosa. Dobbiamo scegliere se affrontare apertamente i nostri cugini o nasconderci in attesa di momenti migliori."

Bhima era del parere che non avevano bisogno di nascondersi, che potevano con la loro forza fisica attaccare e distruggere i malvagi, ma in realtà non era così facile.

Era vero che essi sarebbero stati in grado di sconfiggere in duello i cugini, ma costoro non erano soli, avevano dalla loro parte gente come Bhishma, Drona, Kripa, Karna, Asvatthama e molti altri alleati che in caso di conflitto si sarebbero uniti a loro. Certamente quasi tutte quelle persone erano più legate sentimentalmente ai cinque fratelli che ai figli di Dritarashtra, ma in caso di conflitto non avrebbero potuto aiutarli militarmente, in quanto debitori verso la corte, nella quale avevano vissuto agiatamente e ricevuto ogni sorta d'onori per tanti anni. In caso di guerra avrebbero dovuto combattere contro i Pandava e ciò precludeva a questi ultimi ogni possibilità di vittoria. Di fatto tutti li apprezzavano, ma nessuno avrebbe potuto aiutarli concretamente.
La situazione era più complicata di quanto sembrava. Erano indecisi sul da farsi.

L'idea giusta arrivò dal buon vecchio zio Vidura. Incaricato in gran segreto da quest'ultimo, un minatore fidato giunse a Varanavata, dove fu accolto con calore dai Pandava.

"Mahatma Vidura mi ha mandato da voi," disse, "e vuole sapere come state."
"Stiamo bene, ma come puoi vedere siamo minacciati da un grave pericolo. Questa casa può bruciare in pochi istanti e noi corriamo il rischio di ardere vivi tutti. Viviamo in uno stato di costante allerta. E poi, cosa fare per risolvere definitivamente la minaccia che Duryodhana rappresenta per noi?"

"Vidura mi ha spiegato la situazione," rispose il minatore, "e mi manda a dire di non preoccuparvi. Egli vi consiglia di nascondervi per un certo periodo, in modo che possiate prepararvi nel caso di una guerra. Appiccate voi stessi fuoco alla casa, in modo che tutti pensino che siete morti mentre invece starete fuggendo nelle foreste."

I Pandava accolsero il consiglio con entusiasmo.

In pochi giorni di duro lavoro, l'esperto scavatore riuscì a costruire un tunnel che conduceva in una fitta boscaglia appena fuori la città. Sarebbero cominciati tempi duri, ma almeno sotto un certo aspetto le cose sarebbero migliorate: con quella mossa Duryodhana si era definitivamente messo allo scoperto.

In una notte senza luna, in cui gli attendenti a insaputa dei Pandava avevano ospitato una donna con cinque figli, essi appiccarono il fuoco alla loro casa e a quella dove in quel momento Purochana dormiva. E mentre le fiamme si levavano altissime e incontrollabili, i Pandava con la madre fuggirono lungo il tunnel e in pochi minuti si ritrovarono all'aperto, nella foresta, in salvo.
Il piano riuscì in pieno, nessuno sospettò niente.

Ad Hastinapura tutti versarono lacrime amare per la morte dei loro cari principi. Anche Vidura e Bhishma, pur sapendo la verità, si videro costretti a piangere e a disperarsi in modo da non destare sospetti. Dritarashtra, il re cieco nel corpo e nello spirito, che aveva capito che non era stata una disgrazia, da una parte fu sinceramente dispiaciuto, ma dall'altra era contento perché in quel modo Duryodhana ora avrebbe potuto ereditare il potere e ritrovare la serenità persa a causa della sua sfrenata invidia.

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25.12.2016