Mahabharata
EPILOGO
Passarono i mesi.
Il tempo non sembrava affatto essere d'aiuto a Yudhisthira, il quale non riusciva a dimenticare l'immane tragedia che aveva afflitto l'umanità e ne provava il rimorso più profondo. Durante quel periodo non lo si vide mai sorridere, era sempre triste, inconsolabile. Egli comunque non era l'unico a sentirsi abbattuto. Anche gli altri fratelli erano in uno stato di continua prostrazione.
Vyasa andava spesso a trovarli e cercava di alleviare le loro pene raccontando storie sacre e parlando dei principi della filosofia dello spirito.
Un giorno consigliò loro di celebrare l'ashvamedha-yajna. Tutti, e in special modo Arjuna e Bhima, furono lieti di tornare in azione, che per loro era certamente il modo migliore per non pensare. Krishna stesso, che era stato invitato a dare il suo parere riguardo all'idea lanciata da Vyasa, si mostrò entusiasta e i Pandava partirono per il viaggio che doveva servire a trovare le immense ricchezze necessarie alla celebrazione del sacrificio.
Mentre i Pandava erano impegnati nella loro campagna militare, giunse il giorno in cui Uttara avrebbe dovuto partorire il figlio concepito con Abhimanyu prima della guerra. Da quel giorno, a causa dell'effetto del brahmastra di Asvatthama, le donne direttamente imparentate con i Pandava avevano sempre dato alla luce bambini già morti; ma quel giorno c'era Krishna ad Hastinapura, per cui quando seppe che il momento era arrivato, intervenne e ridonò la vita a quel bambino nato morto. Il neonato, allora, pianse con forza, e tutti provarono una gioia immensa. E fu festa grande in tutta la città.
Richiamati con urgenza, Yudhisthira e gli altri Pandava tornarono dall'Himalaya e celebrarono l'evento. Il bambino fu chiamato Parikshit, "colui che è nato da una linea estinta".
Nel giro di qualche settimana, il grandioso yajna fu celebrato e alcuni giorni dopo Krishna e i Vrishni fecero ritorno a Dvaraka.
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Le istruzioni di Vidura
Nei quindici anni che seguirono la nascita del figlio di Abhimanyu, Yudhisthira fu un re ideale, del tutto degno della gloriosa stirpe alla quale apparteneva; nessuno dei cittadini mai ebbe a lamentarsi, e tutti conobbero grande prosperità e serenità. Il regno dei Pandava fu paragonabile a quello del grande Rama, figlio di Dasharatha.
Seguendo i consigli di Vyasa, Yudhisthira affidò l'educazione di Parikshit a Kripa, il quale lo istruì perfettamente in tutte le scienze.
Tutti ormai erano felici; ma non Dritarashtra, a cui neanche gli anni erano riusciti a lenire il dolore per la perdita dei figli. Ed egli invecchiava, e le prime serie infermità cominciavano a minare il suo fisico già torturato dalla ansietà e dalla tristezza.
Di ritorno da un lungo viaggio durante il quale aveva incontrato il celebre saggio Maitreya, Vidura fece visita al fratello e potè constatare la penosa situazione in cui viveva. Così decise di parlargli apertamente.
"Mio caro re, lascia subito questo posto. Non perdere tempo ulteriormente. Ma non ti accorgi che sei diventato schiavo della paura e dell'ansietà? Nessuno in questo mondo materiale può evitare di cadere vittima di questo meccanismo. La Suprema Personalità di Dio, nella veste di Kala, il Tempo Eterno, è sempre vicino a noi, e mai ci abbandona. E chiunque sprofondi nel giogo dell'influenza di Kala, prima o poi dovrà cedere la sua vita, e tutto il resto: ricchezza, onore, figli, terra, la casa. Tanti fra coloro che ti volevano bene, i tuoi figli compresi, sono morti e tu stesso hai già trascorso la maggior parte della tua vita: e ora, mentre vivi in una casa che non è tua, il tuo corpo è tormentato dalle invalidità della vecchiaia. Fin dalla nascita sei stato cieco, e di recente non riesci neanche più a sentire bene; non hai memoria e la tua intelligenza è disturbata dall'inquietudine. Il corpo si sta sfaldando, i denti ti stanno cadendo, il fegato ti sta procurando seri problemi, e tossisci muco in continuazione.
"Ohimè," continuò Vidura, "per accettare di vivere in questo modo quanto devono essere potenti le speranze di un uomo! Non ti rendi conto che stai vivendo come un animale domestico nella casa dei Pandava e stai mangiando il cibo che ti concede Bhima, lo sterminatore dei tuoi figli? Ma non hai alcuna necessità di condurre vivere un'esistenza così degradante, vivendo dell'elemosina che ti accordano coloro che hai cercato di uccidere col fuoco e col veleno. Tu hai insultato una delle loro mogli e usurpato il loro regno e le loro ricchezze. Te ne sei dimenticato?
"Nonostante tu non voglia morire, e per questo ti senti pronto a sacrificare ogni senso dell'orgoglio, il tuo miserevole corpo certamente continuerà ad invecchiare e si deteriorerà sempre più proprio come un vecchio vestito. Colui che va in un posto sconosciuto, lontano da tutti e, libero da ogni obbligo sociale, abbandona il proprio corpo materiale quando questo è diventato ormai inutile, è un saggio la cui mente rimane indisturbata in ogni circostanza. E colui che risvegliatosi alla realtà, comprende sia per conto suo che grazie all'aiuto di altri, la falsità e la miseria di questo mondo materiale e abbandona la casa, dipendendo solamente e pienamente dalla Personalità di Dio che risiede nel proprio cuore, è certamente un uomo di prima classe. Per favore, dunque, senza far sapere niente ai tuoi parenti, parti immediatamente per il nord, perchè, sappilo, si sta avvicinando il momento in cui le qualità dell'uomo saranno in netta diminuzione."
Colpito da quelle parole dure eppure così profondamente vere, Dritarashtra riflettè a lungo, dopodichè decise di ritirarsi nella foresta per affrontare degnamente gli ultimi anni della sua vita.
Quando la notizia della partenza del grande vecchio si diffuse, molti anziani di corte tra i quali Gandhari, Kunti, Sanjaya e Vidura decisero di seguire il suo esempio.
Yudhisthira si sentì ancora più solo, e la sua tristezza si intensificò.
Dopo qualche mese Narada portò a corte la notizia che i suoi parenti avevano raggiunto la perfezione nelle pratiche dello yoga e ottenuto lo scopo ultimo dell'esistenza umana.
In quel periodo Yudhisthira si dedicò particolarmente all'educazione del nipote Parikshit.
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Gli avvenimenti di Prabhasa
Erano passati tanti anni, per l'esattezza trentasei dal giorno in cui Yudhisthira era risalito al trono.
Una mattina il figlio di Dharma aveva appena finito di fare le sue meditazioni quando scorse attorno a sè gli stessi cattivi presagi che erano apparsi poco prima della guerra di Kurukshetra, e intuì che qualcosa di molto grave stava per accadere.
Nello stesso momento a Dvaraka anche Krishna vide quegli stessi segni e studiandoli in profondità ne dedusse che era arrivato il momento per la sua casata di ritirarsi da questo mondo. Non aveva dimenticato la maledizione di Gandhari, la quale aveva praticato delle forti austerità ed il cui volere doveva perciò essere rispettato. Ma c'era anche qualcos'altro nel passato dei Vrishni, un avvenimento di grave importanza accaduto prima ancora della guerra di Kurukshetra...
Un giorno i saggi Vishvamitra, Kanva e Narada erano arrivati a Dvaraka e stavano dirigendosi verso la reggia per incontrare Ugrasena, quando alcuni ragazzi Vrishni, vedendo passare quei personaggi dall'aspetto serio e solenne, nella loro innocenza giovanile avevano voluto prendersene gioco. Così, ridendo divertiti all'idea della faccia che i saggi avrebbero fatto, travestirono Samba da donna e gli gonfiarono la pancia con una grossa mazza di ferro; poi lo condussero al loro cospetto.
"O grandi saggi," dissero in tono scherzoso, "voi che avete il dono della preveggenza, diteci se questa bella ragazza partorirà un maschio o una femmina."
I rishi non presero bene lo scherzo.
"Poichè nella pancia egli ha una mazza di ferro," risposero, "partorirà un bastone dello stesso materiale e con quello voi vi distruggerete."
A quelle parole i ragazzi, che proprio non si aspettavano una reazione simile, spaventati scapparono via e andarono a raccontare tutto al re. Nel corso del tempo Samba partorì effettivamente una grossa sbarra di ferro, che fu ridotta in polvere e dispersa nel mare.
Da quel giorno erano trascorsi molti anni e tutti, meno Krishna, avevano dimenticato l'incidente.
Così il giorno in cui Krishna notava quei terribili presagi annuncianti l'avvicinarsi dell'era di Kali, memore di quell'avvenimento, decideva che era arrivato per loro il momento di ritirarsi dal palcoscenico del mondo. Tra l'altro, intossicati e insuperbiti dalla loro stessa potenza, i Vrishni avevano perduto il senso della rettitudine e stavano provocando al popolo molti disagi. Consapevole del fatto che con l'arrivo di Kali e l'influenza che esercitava nel mondo, la sua stirpe avrebbe senz'altro accentuato la propria malvagità, volendo proteggere la pace della gente giusta ne decise la distruzione.
Per la ricorrenza di Shiva-ratri, i Vrishni andarono a Prabhasa, che era allora il luogo più adatto per celebrare le cerimonie in onore di Shiva. I primi giorni li trascorsero in piena spensieratezza e allegria: nulla faceva prevedere il disastro che sarebbe accaduto da lì a poco.
Un giorno, dopo aver mangiato in abbondanza e bevuto altrettanto abbondantemente un liquore fatto di riso, alcuni tra loro cominciarono a rivangare vecchi rancori. Satyaki e Kritavarma, che avevano combattuto a Kurukshetra da nemici, presero a rimproverarsi per le rispettive malefatte.
"Non ho ancora dimenticato che tu e i tuoi degni compari avete massacrato vilmente dei guerrieri nel sonno," esclamò Satyaki che cominciava già ad alterarsi.
"Proprio tu parli di rettitudine," ribattè il focoso Kritavarma, "tu che hai trucidato il giusto Bhurishrava così vigliaccamente da far sorgere nell'animo di ogni persona virtuosa desideri di giustizia. In realtà tu non hai coraggio, altrimenti non avresti potuto colpire a tradimento un nemico inerme."
La discussione degenerò.
Fuori di sè dalla rabbia, con un movimento fulmineo, Satyaki colpì Kritavarma con la spada e lo uccise. Vedendolo morto, i suoi amici si lanciarono contro Satyaki, scatenando una battaglia nella quale tutti dimenticarono i legami affettivi e i vincoli familiari. I Vrishni si massacrarono senza ritegno. Coloro che erano privi di armi presero delle radici di alcune piante che crescevano vicino alla spiaggia e caricatele con i mantra più potenti, le usarono per combattersi e uccidersi fra di loro, proprio come avevano fatto i Kurava a Kurukshetra. Quelle radici erano cresciute dalla polvere della mazza che era stata dispersa nel mare ma che le onde avevano riportato a riva.
Krishna guardava e non interveniva; Balarama andò via senza partecipare alla battaglia. In pochi minuti la spiaggia si ricoprì di cadaveri; tra gli altri vi erano quelli di Satyaki e Pradyumna.
Quando il rumore si placò, Krishna si avvide che qualcuno era sopravvissuto. Allora si armò di quelle stesse radici e gliele lanciò contro. L'effetto fu tremendo: tutti caddero morti.
Dopo quel tragico avvenimento rimasero in vita solo Krishna, Balarama e Daruka.
"Daruka, amico mio," disse Krishna, "corri ad Hastinapura e racconta ad Arjuna tutto ciò che è successo. Digli che abbiamo bisogno di lui, che venga immediatamente."
Detto ciò Krishna, il Signore Supremo incarnato, si inoltrò in una densa foresta.
Il giorno stesso suo fratello Balarama, che era Seshanaga incarnato, in meditazione, abbandonò la sua manifestazione terrena.
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Krishna torna nel suo mondo
Era sera. Il Signore che prima della battaglia di Kurukshetra aveva parlato parole di eterna saggezza al suo più caro amico, ora vagava per la foresta. Ripensò ai Suoi devoti più cari, ad Arjuna. A quest'ultimo decise di apparire in sogno per parlargli.
"Amico mio, io sono disceso in questo mondo perchè avevo una missione da compiere. Tutto quello che volevo è stato fatto, per cui non ho ragione di protrarre la mia permanenza in questi luoghi. Kali-yuga si sta avvicinando e non può entrare se io sono presente. Dunque me ne andrò presto. D'altra parte desidero tornare a Goloka Vrindavana, dove mi aspettano tanti devoti dal cuore completamente puro. Ti lascio, ma non esserne rattristato perchè non passerà molto tempo prima che tu mi raggiunga."
Poi riflettè su come avrebbe dovuto lasciare questo mondo. Avrebbe potuto farlo nel ruolo che gli competeva, da essere divino, ma non volle.
"Gli atei e gli invidiosi non possono capire la natura trascendentale dei miei atti, non mi accettano come il Signore Creatore e Mantenitore di tutto ciò che esiste. Se io scomparissi nella mia gloria, come potrebbero sostenere le loro tesi diaboliche? Come potrebbero rimanere in questa prigione materiale, che è la cosa che desiderano più di tutto? Ebbene, io darò loro l'opportunità di contestare la mia Natura Suprema morendo come un uomo."
Intanto che rifletteva si sdraiò e si addormentò.
Durante la notte in quei pressi passò un cacciatore e notando il Signore per terra lo scambiò per un cervo addormentato. Immediatamente scagliò una grossa freccia che era stata ricavata dal ferro partorito da Samba. Attraverso la pianta del piede, l'arma entrò nel corpo di Krishna, che lasciata dietro di sè una forma materiale, abbandonò la Terra e tornò nel suo mondo spirituale.
Da quel giorno questo pianeta, privo della presenza personale del Signore, sembra un fiore che abbia perso il suo profumo.
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Dvaraka invasa dalle acque
Appena Krishna gli aveva dato l'incarico di andare ad Hastinapura, Daruka non aveva perso tempo, ed era corso nella città Kurava.
Arrivò di prima mattina e raccontò tutto ai Pandava che, esterrefatti, stentavano a crederci; si chiedevano angosciati come avrebbero potuto vivere anche un solo secondo in un mondo dove il Signore non fosse presente.
L'arrivo dell'auriga di Krishna aveva confermato ad Arjuna che il sogno fatto nella notte appena trascorsa era una premonizione, un chiaro messaggio che il suo amico aveva voluto dargli. Non aveva dubbi: Krishna gli aveva predetto la sua imminente scomparsa. E Arjuna perse la pace della mente.
Senza far passare un solo minuto, egli si precipitò a Dvaraka.
Quando arrivò, Vasudeva, il padre di Krishna, tristemente non potè fare altro che confermare ciò che Daruka gli aveva raccontato. A Prabhasa Arjuna vide una scena che aveva già testimoniato in precedenza: i corpi senza vita dei suoi più cari amici, tra cui quello del suo amato discepolo e amico Satyaki. Cercando nella foresta, poi ritrovarono anche le manifestazioni materiali di Krishna e Balarama.
Scese la notte. Il Pandava rimase ospite dei Vrishni nella reggia reale.
Il mattino dopo gli dissero che durante la notte Vasudeva e gli anziani di corte avevano raggiunto il Signore grazie alle pratiche dello yoga. La città era oramai senza alcuna protezione. Così decise di radunare tutti i cittadini e di portarli fuori da Dvaraka. La lunga processione si avviò verso Hastinapura.
La città rimase vuota, desolata, dava l'impressione di una città di fantasmi. E fu allora che accadde una cosa straordinaria: all'improvviso il mare si ingrossò e ruppe gli argini, e man mano che gli abitanti lasciavano la città, l'acqua invadeva Dvaraka. In poco tempo non rimase più nulla, e appena ogni cosa fu sommersa, come d'incanto il mare tornò placido come un lago.
Camminarono per tutta la giornata. Quando arrivò la sera
Arjuna preparò l'accampamento e tutti andarono a dormire.
Il giorno dopo ripresero il cammino.
Ma gli avvenimenti eccezionali non erano ancora finiti: durante il viaggio furono attaccati da una grossa banda di feroci briganti, armati e decisi a tutto pur di prendersi le ricchezze e le donne. Quando si vide attaccato, il figlio di Pandu prese Gandiva con l'intenzione di sterminare i malfattori, ma accadde un altro fatto incredibile: l'invincibile eroe che aveva tenuto testa a milioni di grandissimi kshatriya, che aveva sterminato interi akshauhini e contrattaccato le armi umane e divine di Bhishma, Drona, Karna e di altri, non riuscì a ricordare alcun mantra nè ad usare armi; e fu sopraffatto. Riuscì a condurre sana e salva ad Hastinapura solo una parte degli abitanti di Dvaraka.
Appena giunto al cospetto di Yudhisthira, Arjuna svenne.
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I Pandava si ritirano
Arjuna era riverso ai suoi piedi, a testa china e lacrime copiose gli scendevano dagli occhi. Yudhisthira pensò che non l'aveva mai visto così disperato e in preda a tanta sofferenza. Così gli chiese:
"Mio caro fratello, dimmi se i nostri amici della famiglia Yadu stanno tutti bene e trascorrono i loro giorni serenamente. Raccontami di ciò che fanno. Come stanno Shurasena, Vasudeva, Ugrasena, Hridika, Akrura e tutti gli altri? Cosa fa Balarama, la Personalità di Dio? E Shri Krishna, che dà piacere alle mucche, ai sensi e ai brahmana ed è eternamente affezionato ai suoi devoti, è felice insieme ai suoi amici?
"Arjuna," continuò poi, "ti vedo disperato e in balia dell'ansietà. Dimmi, ti senti male? o qualcuno ti ha mancato di rispetto perchè sei rimasto troppo tempo ospite a Dvaraka? E' successo qualcosa che ti ha reso infelice? O forse ti senti vuoto perchè hai perso il tuo più intimo amico? Arjuna, non tenermi ancora sulle spine, dimmi se il nostro Signore è ancora presente su questo pianeta oppure lo ha abbandonato."
Ed egli, che era addolorato oltre ogni immaginazione a causa dei forti sentimenti di separazione da Krishna, si provò a rispondere alle domande del fratello. Mentre ricordava il suo viso, la voce gli veniva meno e riuscì a malapena a parlare.
"O re, la Suprema Personalità di Dio, che mi ha trattato come un amico intimo, mi ha abbandonato. Quindi quello straordinario potere che meravigliò anche i deva ora non mi appartiene più. Egli se ne è appena andato, e ora mi rendo conto che in sua assenza tutto l'universo mi sembra vuoto e privo di qualsiasi attrattiva, come un corpo che sia stato lasciato per sempre dalla vita. Solo per la sua grazia io sono stato in grado di compiere tante imprese formidabili nel corso della mia esistenza, e ora che Lui se ne è andato non sono stato capace neanche di proteggere le donne di Dvaraka dall'assalto di una banda di vili briganti. O re, le notizie che ti porto sono terribili: i Vrishni si sono sterminati fra loro, proprio come la nostra famiglia ha fatto anni fa. E Dvaraka è scomparsa, inghiottita dalle acque dell'oceano. Solo quattro o cinque sono sopravvissuti. Evidentemente così Egli ha voluto. E ora a me non rimane altro che rievocare le sue parole, il suo viso, le cose che abbiamo fatto insieme: così potrò purificare il mio cuore dalla polvere della contaminazione materiale."
E Arjuna trovò la pace nel ricordo del Signore Shri Krishna.
Gli altri fratelli piansero disperatamente. Poi Yudhisthira disse:
"Questi segni sono chiari: stanno ad indicare che è giunto il nostro momento di lasciare questo mondo. In gioventù non è consigliato che uno kshatriya assolva i compiti che sono propri dei brahmana, ma in vecchiaia è addirittura peccaminoso rimanere attaccati fino alla fine dei propri giorni al trono e ai piaceri che questo comporta. Gli ultimi anni della vita devono essere interamente dedicati al distacco dalle cose terrene e alla concentrazione sul mondo di Dio. Dunque io credo che sia arrivato il momento di seguire il sentiero tracciato dai nostri avi."
Tutti furono d'accordo.
In pochi giorni annunciarono la loro decisione di abbandonare la vita politica e di ritirarsi al fine di praticare i principi della rinuncia; poi incoronarono Parikshit imperatore e nominarono Yuyutsu suo tutore e l'anziano Kripa sua guida spirituale. Pochi giorni dopo partivano, salutati da una immensa folla riconoscente, seguiti dalla loro fedele moglie.
Avevano deciso di viaggiare attraverso i principali luoghi santi di Bharata-varsha.
Andarono a Dvaraka. Là dove prima sorgeva la favolosa città, ora vi era un'immensa distesa d'acqua: i Pandava in ammirazione di fronte a quel vasto oceano stavano ricordando Krishna e i suoi compagni, quando apparve Agni.
"Ho saputo della vostra decisione," disse, "e credo che abbiate scelto il momento migliore per ritirarvi. Con la scomparsa di Krishna la vostra missione si è conclusa e non avete altri doveri da assolvere in questo mondo. Ora non vi rimane che restituire a Varuna le armi che vi aveva concesso, grazie alle quali avete sconfitto i Kurava. Gettatele nel mare, ed egli le recupererà."
Senza esitazione, Arjuna gettò Gandiva e la faretra e gli altri fecero lo stesso con le proprie armi. Privi oramai dei loro ultimi attaccamenti terreni, i Pandava si diressero a nord, verso l'Himalaya.
Per mesi camminarono senza sosta e arrivarono fino a Meru. Ma mentre viaggiavano sulle vette innevate, Draupadi, stroncata dal freddo e dalle privazioni, cadde in terra senza più vita. Poi, uno dopo l'altro, abbandonarono il proprio corpo dapprima Sahadeva, poi Nakula, Arjuna e Bhima.
Yudhisthira rimase solo.
Continuò a camminare senza mai voltarsi indietro, senza mai distogliere la propria attenzione dalla Suprema Personalità di Dio.
Passò altro tempo.
Un giorno davanti a sè vide una luce intensa, dalla quale sorse Indra.
"Sono venuto qui in persona a prenderti, " disse il deva, "per accompagnarti a Svarga. Nella tua vita non hai mai peccato e le tue azioni sono sempre state rette. Come risultato hai dunque pieno diritto di venire con me a gioire dei piaceri dei mondi superiori."
Yudhisthira sorrise, ma neanche davanti a un'offerta tanto allettante dimenticò di essere giusto.
"O Indra, ti seguirò senz'altro a Svarga, ma prima voglio sapere dei miei fratelli: sono già lì in tua compagnia? oppure sono andati in qualche altro pianeta? Sappi che io non desidero andare in nessun luogo senza di loro."
"Certamente. I tuoi fratelli sono le persone più virtuose che siano mai vissute, e hanno abbondantemente meritato l'accesso ai miei pianeti. Vieni via, dunque, non restare ancora in questo mondo colmo di miserie."
Così Yudhisthira, avendo a quel punto superato tutte le prove, montò sul carro guidato da Matali. Questi spronò i cavalli affinchè corressero al massimo della loro velocità. E mentre il veicolo sfrecciava in cielo, il Pandava diede un ultimo sguardo a questo mondo, ai suoi dolori e alle sue frustrazioni. Poi lo perse di vista.
In pochi istanti era arrivato ad Amaravati, la capitale di Indra, che Arjuna aveva già visitato durante il viaggio volto alla ricerca di armi celestiali.
Entrato nel palazzo, Yudhisthira si guardò attorno per cercare Bhima, Arjuna, i gemelli e Draupadi, ma non li vide. C'erano tanti monarchi giusti che conosceva, ma non riusciva a scorgere i suoi parenti.
"O Indra, mi avevi detto che Arjuna e gli altri erano già qui con te, ma in questo meraviglioso palazzo io non li trovo. In questo momento sono forse in qualche missione?"
Indra gli lanciò uno sguardo benevolo.
"Yudhisthira, in questo mondo devi abbandonare gli attaccamenti familiari che sono pertinenti al corpo e alla situazione che avevi sulla Terra. Ora ciò che concerneva la tua nascita precedente non ti riguarda più. Non pensare più a loro e goditi tanta meritata beatitudine."
"Io non desidero nessuna gioia se non la gusto in compagnia dei miei fratelli. Se non sono qui con te, dove sono? Conducimi ovunque essi siano."
Indra tentò di convincerlo a dimenticarli, ma Yudhisthira era fermo nel suo proposito. Mentre parlavano, fra molti celebri sovrani del passato notò il vile e malvagio Duryodhana.
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La meta celeste
Seduto su un trono d'oro interamente ricoperto di sfavillanti gioielli, questi discorreva per l'appunto insieme ai numerosi re che, per la loro stretta osservanza dei principi religiosi, sulla Terra erano sempre stati rispettati. Yudhisthira non poteva credere ai propri occhi.
"Come può quell'essere invidioso ed empio sedere nel mezzo di quei santi monarchi? Sulla Terra ha provocato solo immani sofferenze e il suo egoismo ha sterminato un'intera generazione di kshatriya. Costui merita il peggiore degli inferni, non le gioie dei pianeti celesti."
"Abbandona ogni animosità contro Duryodhana," rispose Indra. "Egli ha pagato con la morte il suo debito verso gli dei e ora, grazie alle benedizioni di Balarama e Gandhari e al luogo santo di Samanta-panchaka dove ha lasciato il corpo, secondo le leggi divine ha pienamente meritato Svarga."
Ma Yudhisthira si rifiutò di stare in un luogo in cui era presente Duryodhana e non vi erano invece i suoi fratelli, e pregò Indra di portarlo ovunque essi fossero. Venne accompagnato lungo una strada.
Camminò per molto tempo, finchè giunse in un luogo scuro, puzzolente, pieno di insetti e di gente orrenda che gridava e minacciava. In quell'inferno vide Bhima, Arjuna, Nakula, Sahadeva e tanti altri amici e conoscenti che sulla Terra aveva stimato ed amato. Era incredulo: come poteva essere che delle persone virtuose e osservanti delle leggi del dharma soffrissero in quell'inferno mentre il demoniaco Duryodhana sedeva su un trono di gioielli ad Amaravati? Ma effettivamente la cosa non gli im-portava, preferiva restare con i suoi fratelli.
Passò un'ora.
All'improvviso, gettando luce in quel luogo buio, Indra apparve e li chiamò.
"Voi siete stati gli uomini più retti della Terra" disse, " e soprattutto avete avuto la fortuna di godere della compagnia personale del Signore Supremo stesso; quindi meritereste anche più dei pianeti che io posso offrirvi. Eppure state vivendo in quest'inferno. Tuttavia c'è una spiegazione a tutto ciò. Gli kshatriya, per quanto retti siano, devono uccidere e stare a contatto con le ricchezze materiali; per questo anche i più santi devono purificarsi passando, per un certo periodo di tempo, attraverso l'esperienza delle pene infernali. Ognuno di voi ha commesso qualche errore, qualche impurità che avete così espiato. Ma adesso che vi siete purificati da ogni peccato, potete venire con me ad Amaravati."
I Pandava vissero a lungo nei pianeti celesti in compagnia di deva e rishi dal cuore completamente libero da ogni macchia. Rimasero in questo universo materiale e non seguirono il Signore Krishna nel Suo mondo solo perchè avevano altre missioni da compiere. Ma quelle riguardano altre storie.
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Parole conclusive
Il male ormai imperversava sulla Terra, quando gli dei avevano chiesto a Krishna di incarnarsi insieme a loro, uniti nella missione di ristabilire gli eterni principi della religione.
Egli non vi scese da solo, ma portò con sè i suoi eterni compagni. Quando il seme della verità fu piantato e lo scopo della loro nascita ottenuto, il Signore e i suoi compagni tornarono nelle loro dimore d'origine.
Per qualche tempo il mondo in cui viviamo fu arricchito dalla rara presenza personale di Shri Krishna, il quale prima di ripartire ci ha lasciato le Sue parole che sono l'Eterna Verità che trascende le limitazioni di questo mondo illusorio.
Chiunque desideri conoscere il Signore dovrebbe studiare e praticare il sacro libro conosciuto come Bhagavad-gita.
Il Maha-bharata di Vyasa è una storia immortale e fintanto che ci sarà una scintilla di virtù nei cuori degli uomini, questo sarà letto e discusso con sommo piacere.