Mahabharata
DRONA PARVA
Inesorabilmente il sole stava dirigendosi verso occidente.
Metà della giornata era già trascorsa. Ora Arjuna, che si rendeva conto di aver perso troppo tempo nei duelli con Drona e con gli altri maharatha, realizzò che doveva cominciare a combattere anche contro il tempo e raddoppiare perciò i suoi sforzi. Gandiva quasi era scomparso dalla sua mano. Tenendo sempre l'arco al massimo della capacità di piegamento, quasi in forma circolare, nessuno riusciva più a distinguerne i movimenti; prendere la freccia, recitare i mantra, scagliarla e prenderne un'altra erano diventati un tutt'uno. Da quell'arma micidiale fluiva una corrente ininterrotta di dardi mortali, che colpivano con una precisione disumana. I Kurava erano terrorizzati.
Ma dopo un pò, accorgendosi che i cavalli di Arjuna cominciavano a mostrare segni di stanchezza per il gran correre, ripresero coraggio e aumentarono nuovamente i loro sforzi. I nobili destrieri, che sanguinavano abbondantemente in più parti del corpo, ora si muovevano più lentamente, con una agilità sempre minore. E Jayadratha era ancora lontano.
I soldati sentirono che il loro sacrificio avrebbe potuto essere determinante per la vittoria finale.
Essendo la corsa di Arjuna frenata a causa dell'affaticamento dei cavalli, i possenti fratelli Vinda e Anuvinda gli si presentarono di fronte e gli lanciarono una sfida. Il duello con i famosi soldati, conosciuti in tutto il mondo per il loro eroismo, fu durissimo e spettacolare; ma l'impaziente figlio di Indra, che sentiva di avere poco tempo, accantonò la gioia di duellare con quei bravi arcieri, e si ritrovò costretto ad ucciderli subito entrambi.
Ancora, respinse un attacco in massa dei Kurava, ansiosi di vendicare i due fratelli creando attorno a sè quasi un deserto. A quel punto Krishna disse:
"Arjuna, i nostri cavalli sono stanchi, non possiamo continuare a farli correre in questo modo per tutto il giorno. Dobbiamo farli riposare."
Arjuna riflettè per qualche momento, poi disse:
"Hai ragione, fermiamoci. Mentre tu li farai riposare, io continuerò a tenere a bada i nostri avversari."
Vedendolo privo della protezione del carro, i Kurava organizzarono un nuovo attacco in massa e, come avevano già fatto con Abhimanyu il giorno precedente, tentarono di circondarlo e di metterlo in difficoltà, attaccandolo da più parti. Ma fu con grande costernazione che dovettero riconoscere che a piedi il Pandava era ancora più incontenibile di quando era sul carro. Il panico di diffuse ovunque e i due rimasero soli per qualche minuto.
"Arjuna, "disse Krishna, "qui non c'è acqua: come possiamo abbeverare i nostri cavalli?"
Dopo aver recitato una preghiera a Varuna, Arjuna generò con le sue armi divine un laghetto d'acqua dolce, che poi circondò con un fitto muro di frecce. Lì, dentro quell'impenetrabile cortina, i cavalli si ristorarono. Intanto i Kurava, davanti a quelle meraviglie, sembravano aver perso del tutto interesse per il combattimento: nessuno riusciva a distogliere gli occhi da quei due personaggi estasianti e si udiva bisbigliare ovunque la stessa domanda: cosa non era in grado di fare Arjuna?
Appena i cavalli ebbero recuperato le forze, i due rimontarono sul carro e, sfondato con impeto il muro di frecce, ripresero la corsa. Duryodhana arrivava esattamente in quel momento.
Come si rese conto della situazione si sentì disperato: il cugino era già arrivato al limite della terza vyuha, e ne aveva già superate due che pure erano impenetrabili agli stessi dei. Si stava avvicinando troppo a Jayadratha. Lo vide mettere in fuga o uccidere con furia inaudita chiunque gli si ponesse di fronte.
Allora il figlio di Dritarashtra, in ansia per la vita del cognato, gridò al Pandava di fermarsi e di accettare la sua sfida.
Allorchè il duello ebbe inizio, Arjuna e Krishna con sorpresa
si accorsero che nessuna freccia riusciva a penetrare in quell'armatura,
mentre le armi di Duryodhana provocavano dolorose ferite.
E il sole si avvicinava sempre di più all'orizzonte.
Infine Arjuna capì.
"Amico mio, adesso comprendo la ragione per cui il vile cugino appare così forte. Quella che indossa è l'armatura di Brahma che in questo momento Drona ha con sè. Ricordo che molto tempo fa me la mostrò e mi insegnò anche come contrattaccare chiunque l'avesse portata. Ora, in questo preciso istante, io distruggerò quel malvagio."
Così invocata un'astra mortale, la scagliò con violenza; ma proprio in quel momento sopraggiungeva Asvatthama, il quale vedendo il re in pericolo ruppe la freccia mentre essa gli si avvicinava alla velocità del lampo; quella potente arma non poteva essere usata una seconda volta.
Ma Partha non si scoraggiò.
"Non importa se il figlio del guru ha neutralizzato la mia arma," disse col sorriso sulle labbra, "perchè posso fare qualcos'altro. Duryodhana non sa come portare quell'armatura divina. Infatti la indossa al pari di un bambino che abbia infilato i vestiti del padre; osserva allora come lo sistemo."
E in quel momento, sotto la pressione di quel possente braccio, da Gandiva scaturì un terrificante torrente di frecce dalle punte sottili come aghi che trafissero Duryodhana in tutte le parti che aveva lasciato scoperte, persino sotto le unghie e sotto le palme dei piedi. Torturato da un dolore lancinante, Duryodhana non potè fare a meno di fuggire.
Ridendo divertiti a quella buffa scena, i due spronarono i cavalli in direzione della sucimukha-vyuha, il terzo strato, quello oltre il quale c'era Jayadratha. Erano distanti solo tre chilometri, ma di fronte avevano una potente formazione affollata da eroi praticamente invincibili. Arjuna aveva tutte le ragioni per sentirsi preoccupato.
"Krishna, ora stiamo per arrivare in contatto con un'ennesima vyuha, dove sono disposti i soldati più forti. Suona la panchajanya, spaventiamo i nostri nemici e infondiamo rinnovato entusiasmo nei nostri lontani alleati, che non sanno nemmeno se sono vivo oppure morto."
Quando il vigoroso suono trascendentale si diffuse nell'etere, Arjuna fece vibrare la corda di Gandiva; i Kurava, che non erano ancora in vista, capirono che i tanto temuti avversari stavano per arrivare, e si prepararono a riceverli.
Quello era il punto in cui c'era la maggiore concentrazione di maharatha: davanti a sè Arjuna cominciava a vedere Bhurishrava, Shala, Karna, Vrishasena, Kripa, Shalya e Asvatthama, tutti seguiti dai rispettivi battaglioni.
In pochi istanti si scontrarono e l'urto fu tremendo.
Ma benchè Arjuna e i suoi due aiutanti combattessero con furore, si accorsero che il pomeriggio era già inoltrato e che il sole stava calando inesorabilmente.
Raddoppiarono i loro sforzi.
114
I timori di Yudhisthira
L'avvicinamento di Arjuna a Jayadratha non era comunque l'unico motivo di interesse della giornata, nè il Pandava era il solo a combattere tanto mirabilmente. A diversi chilometri di distanza Drona, dopo aver provocato sfaceli nella prima linea avversaria, si era avvicinato pericolosamente a Yudhisthira, il quale coraggiosamente ne aveva accettato la sfida. Ma quel giorno l'acarya, ancora eccitato dalla vista del combattimento di Arjuna, era veramente insuperabile, e in pochi istanti gli fu così vicino che potè saltare su di lui, proprio come fa un leone quando è sicuro di aver acciuffato una gazzella; ma proprio all'ultimo secondo provvidenzialmente arrivò Satyaki, che strappò via il figlio di Pandu dalle mani del nemico, mentre contemporaneamente rispondeva ai suoi attacchi.
Drona aveva fallito ancora. Per di più molti bravi soldati avevano perso la vita per quel tentativo mancato.
Tra le file dei Kurava c'era anche il potente Alambusha, che era venuto a Kurukshetra per un motivo particolare: quando era ancora in vita, Baka era stato un suo caro amico, così ora lui voleva vendicarne la morte uccidendo il responsabile.
Lo scontro con Bhima fu titanico; poi intervenne Ghatotkacha. Dopo una furiosa lotta, il figlio di Bhima uccise Alambusha e lo scagliò a molte miglia di distanza, lasciando i Kurava sbigottiti e terrorizzati. Nessuno aveva mai pensato neppure lontanamente che l'invincibile rakshasa potesse perire in un duello.
E proprio in coincidenza con la morte di Alambusha, i Pandava sentirono il suono di panchajanya e si preoccuparono.
"Perchè Krishna sta suonando la sua conchiglia con tanto vigore? cosa è successo?"
"Forse Arjuna è morto," disse qualcuno, "e ora Keshava intende prendere le sue armi e distruggere l'universo intero. Il suono di panchajanya sembra particolarmente terrificante, oggi."
Anche Yudhisthira si preoccupò e chiamò a sè Satyaki.
"Senti questi suoni; è panchajanya. Mi sembra di percepire un messaggio, una richiesta di aiuto. Forse mio fratello è in difficoltà e Krishna vuole farci capire che hanno bisogno di noi. Corri, amico mio, va ad aiutare il tuo maestro, o saremo perduti. Se Jayadratha non morirà prima del tramonto ogni speranza di vittoria diverrà vana."
Satyaki non era molto convinto.
"Arjuna da solo può distruggere l'intera armata dei Kurava," ribattè, "e inoltre con Krishna che lo guida non corre alcun pericolo. Al contrario noi ci stiamo esponendo a un grave rischio proprio in questo punto del campo, dove c'è Drona che vuole catturarti a tutti i costi. Finchè io sono qui tu sei al sicuro, ma se vado via, chi lo fermerà?"
"Non hai tutti i torti," rispose il Pandava, "ma io sono certo che mio fratello ha bisogno di te, e che il suono di panchajanya voleva essere un messaggio per noi. Per quanto concerne Drona non devi temere, perchè Bhima è sempre nei miei paraggi e mi proteggerà. Vai, dunque, non tardare ancora."
A malincuore il prode Yuyudhana ordinò al suo auriga, fratello di Daruka, di spronare i cavalli e di dirigersi verso l'interno delle file nemiche.
115
Satyaki, il grande eroe
Nonostante fosse esausto per il duro duello che aveva combattuto con Drona, Satyaki passò con relativa facilità il primo strato, che comunque era stato già quasi distrutto in precedenza da Arjuna. Fu il secondo vyuha a procurargli le maggiori difficoltà.
Lì infatti incontrò ancora Drona, il quale preoccupato per la spaventosa scia di morte che Satyaki si stava lasciando dietro, gli si parò innanzi e lo sfidò di nuovo. Ma fu subito chiaro a tutti che quella era una sfida che avrebbe potuto anche durare in eterno: uno spettacolo cioè che senz'altro avrebbe deliziato gli esteti delle arti marziali ma che non avrebbe mai sortito alcun risultato pratico. I due si eguagliavano in tutto.
Ma quando il Vrishni capì che l'intenzione dell'avversario era proprio quella, e cioè di bloccarlo in un duello senza fine e ritardargli così l'avanzata, lo salutò rispettosamente e fuggì via.
Mentre Drona lo inseguiva, Satyaki evitò anche l'armata di Bahlika e penetrò in quella di Karna, che si vide colto di sorpresa da quella furia scatenata. In pochi minuti egli usciva dall'altra parte dello schieramento e si scontrava con l'amico Kritavarma, sconfiggendolo e umiliandolo.
Durante la precipitosa avanzata di Yuyudhana, i Kurava furono privati di un altro celebre eroe, il re Jalasandha, che dopo aver perduto tutto il suo esercito di elefanti e dopo essere stato sconfitto in duello, venne colpito al collo da una freccia che lo decapitò. Così un altro nobile guerriero, amato e rispettato da tutti, non solo dai Kurava ma anche dai Pandava stessi, aveva perduto la vita.
Approfittando del rallentamento che era stato necessario a Satyaki per sconfiggere il suo avversario, Drona, Duryodhana e Kritavarma si erano riuniti ed erano riusciti a raggiungerlo. Satyaki li guardò con aria di scherno.
"Se voi credete di incutermi paura e di impedirmi di avanzare," disse, "vi sbagliate di grosso: non sapete che sono il discepolo di Arjuna e il cugino di Krishna? Grazie a loro nessuno può sconfiggermi."
A quel punto un fiume di frecce infuocate scaturì dal suo arco, e seminò ovunque il panico; a stento riuscirono a salvare la vita di Drona, mentre Duryodhana fuggiva precipitosamente. Satyaki era veramente incontenibile: qualsiasi cosa gli si avvicinasse più di tanto, egli sembrava bruciarla come un enorme fuoco, forte proprio come il sole nell'ora del suo massimo splendore.
Dopo aver ucciso anche il valoroso Sudarshana, riprese la sua corsa per avvicinarsi ad Arjuna.
I Kurava si sentivano nel contempo spaventati, infuriati e in ammirazione: quel giorno il grande Satyaki stava offuscando persino la fama di Arjuna, causando maggiori scompigli dello stesso Pandava. Un battaglione di lanciatori di pietre provenienti dalle regioni montane del nord fu mandato contro di lui; ma Satyaki ruppe tutti i macigni mentre essi a mezz'aria gli saettavano contro e massacrò interamente quei bravi combattenti. Fu poi il turno di Dusshasana che volle tentare di fermarlo, ma quest'ultimo si salvò solo perchè Satyaki volle lasciarlo a Bhima.
Messo in fuga anche quest'altro Kurava, Yuyudhana riprese la sua inarrestabile corsa.
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Bhima nella scia di Satyaki
Ma quel giorno non furono solo i Pandava a sentirsi incoraggiati dalle gesta dei loro eroi; dall'altra parte Drona seminava morte e terrore al pari di Arjuna e Satyaki. Tra gli altri il grande maestro uccise alcuni dei fratelli di Drishtadyumna.
Avendo assistito a quella terribile scena di morte, il generale Pandava si precipitò contro la sua vittima predestinata, assalendo Drona con tale furia ed efficacia da farlo cadere sul carro senza sensi. Era quella l'occasione che aveva atteso per tanto tempo: vedendolo svenuto, il figlio di Drupada decise di porre fine alla vita del venerabile guru, proprio come aveva profetizzato una voce al momento della sua nascita. Sguainata con furore la spada, gli si avventò contro con l'intenzione di mozzargli la testa; ma all'ultimo istante Drona si riprese, appena in tempo per difendersi ed evitare la morte.
Con molta difficoltà riuscì a liberarsi di Drishtadyumna e a spronare l'auriga al fine di attaccare il battaglione del famoso re Brihadakshatra, uno dei fratelli Kekaya e uno degli alleati più fedeli dei Pandava. Quel monarca si guadagnò il plauso generali combattendo con grande ardore e bravura, ma alla fine, trafitto da una lancia, cadde morto sul terreno.
Ma quel giorno non fu Brihadakshatra l'unico dei cari amici dei Pandava a soccombere per mano di Drona: il fortissimo Drishtaketu, figlio di Sishupala che al contrario del padre non era invidioso ma amava e rispettava profondamente Krishna e i suoi devoti, perì in un duello contro Drona e giacque senza vita al terreno.
Sapendolo privo della protezione di Arjuna e Satyaki, l'acarya proseguì la sua corsa verso Yudhisthira, confortato dal pensiero di porre fine in tal modo a quell'immane massacro. E un altro maharatha, Kshatradharma, figlio di Drishtadyumna, cadde.
Lo spettacolo di quegli uomini tutti forti come cento leoni che perdevano la vita per opera di un singolo combattente, fece perdere d'animo i soldati semplici.
"Se Drishtaketu e altri come lui sono caduti, cosa possiamo fare noi?" dicevano molti. "Il sacrificio delle nostre vite è inutile. Ritiriamoci."
Per fortuna dei Pandava, Bhima si trovava nei paraggi e seppe rincuorare i suoi uomini con parole colme di saggezza; poi personalmente si lanciò all'inseguimento del nemico, che nel frattempo era penetrato nelle zone più interne dello schieramento.
Ma Yudhisthira non si preoccupava molto del pericolo rappresentato dal generale Kurava: il suo cuore era lontano, molto al di là delle linee nemiche, insieme ad Arjuna. Ma il tempo passava, e nessuno gli portava notizie di cosa stesse accadendo.
"E' molto che non sento più la conchiglia di nostro fratello," disse a Bhima che intanto lo aveva raggiunto, "e non odo neanche panchajanya. Mi chiedo perchè... cosa starà succedendo? Egli sa che noi siamo in pensiero per l'esito della sua missione ed è strano che non trovi il modo di farci pervenire le ultime novità. Bhima, io non riesco a tollerare questa ansietà. Dobbiamo aiutarlo."
"Fratello, Satyaki è partito da molto e probabilmente sarà già quasi arrivato. Non devi temere: Arjuna è invincibile perchè Krishna è con lui."
"Ma perchè non ci fanno sapere qualcosa? Neanche di Satyaki si sa più nulla, e io temo per la sua vita. Ti prego, corri sulla loro scia e aiutali."
Bhima non era affatto d'accordo.
"Ma sai benissimo che Drona è in questi paraggi, e non desidera altro che tu rimanga privo di validi appoggi. Non mandarmi via. Tu hai più bisogno della mia presenza."
"Non devi temere per me," rispose Yudhisthira. " Drishtadyumna è qui e mi soccorrerà nel caso di un attacco di Drona. Corri da Arjuna al massimo della tua velocità e aiutalo ad uccidere Jayadratha."
A nulla valsero le sue insistenze: Yudhisthira aveva ormai deciso che Bhima doveva andare ad aiutare il fratello minore.
Quando Drona lo vide partire di gran carriera, intuì le sue intenzioni e se ne allarmò: non era affatto conveniente avere tre guerrieri come quelli all'interno delle loro file. Cercò di sbarrargli la strada, ma Bhima, senza neanche degnarlo di uno sguardo, lo superò di slancio.
Era spettacolare vederlo mentre sul suo carro da guerra sfrecciava nel mezzo dello schieramento nemico, brandendo la gigantesca mazza, che gli era stata donata da Mayadanava, e ruggendo come un leone infuriato. E quando il figlio di Vayu si vide venire contro un battaglione capeggiato da Dusshasana e da un certo numero dei suoi cugini, ghignò con aria quasi delirante e si scagliò contro questi ultimi con l'arma sollevata al cielo. In pochi minuti ne uccise sette.
Spaventato da tanta furia e costernato per la perdita dei fratelli, Dusshasana si sentì disperato e si abbandonò a un pianto rabbioso: dall'inizio della guerra ne aveva già persi trentuno e ora questi altri sette li aveva visti morire lì, a pochi metri, senza che potesse essere in grado di fare nulla.
Bhima invece era felice, radioso. Fin dalla prima mattinata, a causa delle esigenze tattiche, si era visto relegare nelle zone più lontane del fronte: il suo compito era stato quello di proteggere il fratello maggiore; ma non era il lavoro di copertura quello più adatto alle sue caratteristiche di combattimento, nè ovviamente quello che lo faceva sentire totalmente soddisfatto. Bhima amava le mischie, i furibondi corpo a corpo, i duelli con le mazze, le lotte contro gli elefanti. Ora dunque aveva cominciato a divertirsi, specialmente da quando si era scontrato col gruppo dei figli di Dritarashtra.
Negli attimi che seguirono ne uccise altri tre. Vedendolo combattere in quel modo, per paura che quel pomeriggio stesso volesse assolvere al suo voto di sterminarli tutti, i Kurava fuggirono precipitosamente, senza alcun ritegno.
Ma mentre combatteva ancora contro i figli di Dritarashtra, Bhima si era accorto che Drona stava sopraggiungendo. Così aveva messo in fuga i suoi nemici proprio al fine di affrontarlo meglio.
Lo scontro tra i due fu titanico, ma fu stavolta fu l'anziano ad avere la peggio: quando ebbe il carro distrutto e i cavalli uccisi, dovette fuggire a piedi. E Bhima fu libero di penetrare con decisione nel cuore del vyuha nemico.
Se il cammino di Satyaki era stato reso più agevole da Arjuna, quello di Bhima lo fu ancor più grazie a Satyaki stesso.
Mentre i soldati Kurava fuggivano dal suo cospetto, ancora una volta Drona lo raggiunse, accompagnato da un battaglione di soldati ed elefanti. Sentendo il richiamo del guru, Bhima disse:
"Vishoka, non ci siamo ancora liberati del nostro testardo maestro. Sembra che non ci voglia proprio permettere di raggiungere i nostri amici. Torna indietro e affrontiamolo. Poi proseguiremo la nostra corsa."
Obbedendo agli ordini del suo signore, l'auriga si lanciò contro le truppe di Drona e ne tagliò in due lo schieramento. Quando il Pandava riemerse dall'altra parte, i Kurava si accorsero che questi si era lasciato dietro un enorme cimitero di uomini e animali. Bhima, allora abbandonò il carro, e correndo alla velocità di un fulmine si scagliò contro Drona. Ruggendo in modo terribile, afferrò il suo veicolo e prese a trascinarlo in giro proprio come un bambino si diverte con un giocattolo. Drona riuscì a saltare via prima che il suo carro venisse schiantato al suolo. A quel punto resosi conto del raptus di follia distruttiva che aveva invaso Bhima, scappò via portandosi dietro i soldati terrorizzati.
La corsa di Bhima fu alquanto agevole: chiunque lo incontrava fuggiva per tenere salva la vita, nessuno osò fermarlo. Ed egli procedeva, attaccando i nemici che scappavano. Ovunque incontrasse lunghe file di cadaveri umani, cavalli, elefanti e detriti di carri e mucchi di armi sparse, comprendeva che Arjuna e Satyaki erano passati di là.
Non trascorse molto tempo prima che raggiungesse Satyaki. I due si abbracciarono con trasporto.
"Sono felice di vederti vivo e ancora pieno di entusiasmo e di forze," gli disse, "ma ora devo cercare mio fratello minore e Krishna; voglio vedere se stanno bene e se si stanno avvicinando a Jayadratha. Ci rivedremo presto."
E continuò la sua marcia; ma aveva fatto solo poche centinaia di metri quando si ritrovò di fronte Arjuna impegnato in combattimento; i suoi nemici cadevano a migliaia e una luce di gloria brillava attorno al suo viso. Vedendolo sano e salvo, Bhima si sentì risollevato e immediatamente pensò bene di esternare la propria gioia con un possente grido di guerra che rimbombò a chilometri di distanza. Appena Yudhisthira sentì quelle grida leonine, capì che Arjuna stava bene e riprese la battaglia con l'animo rinfrancato.
Per i Kurava la situazione si era fatta preoccupante: Arjuna, Krishna, Satyaki e Bhima erano da tempo penetrati all'interno delle loro file, provocando veri e propri disastri. Dovevano fare assolutamente in modo che nessun altro riuscisse ad arrivare da loro a portare ulteriori aiuti.
Quando seppe da un messaggero ciò che stava accadendo sui fronti più avanzati, Karna mosse il suo esercito in direzione di Bhima e, raggiuntolo, lo attaccò violentemente.
Un continuo flusso di frecce scaturì dal suo arco, e colpì il Pandava in più punti del corpo. Quando si accorse dell'odiato nemico, Bhima ruggì come un leone inferocito e trascurando il dolore delle ferite gli si scagliò contro. Era una scena singolare e veramente interessante: Karna combatteva con una grazia che contrastava vistosamente con la potenza e la furia dell'irruente avversario. Molto presto, però, dovette abbandonare il sorriso di scherno con il quale aveva aperto il duello ed impegnarsi al massimo; e allorchè Bhima lo assalì con la mazza, riuscì a malapena ad abbandonare il carro, appena pochi secondi prima che Bhima lo distruggesse completamente. Nel clamore della battaglia, Karna saltò sul veicolo del figlio Vrishasena e riprese la difficile lotta.
"Guarda come il grande Karna si ritrae davanti a me," diceva intanto il Pandava al suo auriga, "guarda come riesce solo a fatica a parare le mie frecce. Non mi sembra quel gran campione di cui abbiamo avuto paura per così tanto tempo. Ora, a vederlo combattere, lo si potrebbe paragonare a una sedicesima parte di Arjuna."
In effetti Karna stava combattendo senza il suo consueto ardore, ma Bhima non poteva conoscerne la ragione; egli aveva fatto una promessa a Kunti, le aveva giurato che avrebbe cercato di uccidere solo uno dei suoi figli. Di certo il fatto che Bhima fosse suo fratello minore non lo aiutava ad accrescere il desiderio di ammazzarlo, desiderio che invece nel passato lo aveva sostenuto nei momenti cruciali della sua vita.
E mentre Karna era perso nei suoi pensieri, Bhima lo attaccò ancora e gli distrusse un altro carro, mettendolo in una situazione veramente difficile. Duryodhana, non lontano dallo scenario del furibondo duello, ordinò al fratello Dussala di correre in aiuto di Karna, ma questi dopo una furente battaglia fu ucciso, colpito a morte dalla mazza di Bhima.
Duryodhana, che aveva assistito alla scena, era disperato: aveva perso un altro dei suoi fratelli. A che potevano servire le amare proteste che rivolse a Drona? Bhima era inarrestabile.
"Se vuoi salvare le vite dei tuoi fratelli ed amici," gli rispose l'acarya, "e anche la tua, devi fermare questa guerra e fare pace con i Pandava. Non esiste altro modo."
Duryodhana non rispose e tornò a combattere.
117
Il duello fra Bhima e
Karna
Ma l'attacco che il Kurava lanciò a Bhima ebbe effetti disastrosi per lui; gravemente ferito, dovette ricorrere alle cure di esperti medici, i quali lo risollevarono dal dolore grazie all'applicazione di erbe miracolose.
Tornato nel vivo della battaglia si trovò nelle vicinanze di Arjuna, il quale era momentaneamente solo, privo dell'apporto dei due fratelli Yudhamanyu e Uttamaujas. Volle tentare di isolare in modo definitivo il Pandava; ma sebbene Duryodhana fosse un possente guerriero, quei due erano veramente troppo forti per lui, così dovette rifugiarsi sul carro di Shalya.
Nel frattempo lo scontro fra Bhima e Karna non era cessato, anzi era aumentato di intensità. Bhima non voleva perdere tempo, aveva troppa fretta di affiancarsi ad Arjuna per aiutarlo ad avanzare, e le provò tutte per liberarsi di quell'assillo. Ma Karna era sempre lì, non si ritirava di fronte a nessun attacco, per quanto veemente potesse essere. E non ritenendolo alla sua altezza, mentre il figlio del suta combatteva sorrideva e lo scherniva in continuazione. Questa cosa fece infuriare ancora di più il focoso Bhima, il quale raddoppiò gli sforzi e pressò Karna con violenza selvaggia, costringendolo a ritirarsi dal duello per qualche minuto.
Quando tornò prepotentemente sulla scena, il sorriso di scherno non c'era più; ancora una volta era divenuto preda dell'ansia a causa della forza sovrumana del nemico. Lo scontro riprese, furente.
All'improvviso un'immagine comparve davanti agli occhi di Bhima: ricordò distintamente quando Karna aveva detto a Draupadi: "scegli un altro marito fra noi, poichè i tuoi ora sono degli schiavi"; rammentò quanta sofferenza avevano dovuto patire tutti per colpa sua e decuplicò i suoi sforzi. L'attaccò che sferrò fu tale che Duryodhana temette per la vita dell'amico e fu costretto a mandare suo fratello Durjaya ad aiutarlo. Ma era evidente che mandare i suoi parenti stretti contro Bhima era l'ultima cosa da fare; prima Durjaya, poi Durmukha; in breve tempo ambedue giacevano al terreno senza più vita.
Karna fu costretto a ritirarsi.
Fu allora che cinque dei fratelli di Duryodhana, con il cuore pieno d'odio per l'assassino dei loro cari, si precipitarono in direzione del figlio di Vayu, e lo attaccarono ferocemente. Tra questi c'era il valoroso Durmarshana. Bhima, quando vedeva i figli di Dritarashtra, si trasformava radicalmente e il suo aspetto diventava una maschera di furia: sembrava il dio della morte incarnato: massacrati dalle frecce e dai colpi della mazza, tutti e cinque morirono.
Nell'attimo in cui Bhima lanciava uno dei suoi ruggiti di vittoria, Karna venne a conoscenza dell'atroce fine toccata ai suoi amici. Radunò allora un nutrito gruppo dei fratelli delle vittime, tutti arrabbiati e assetati di vendetta, e si precipitò contro di lui. La battaglia fu piena di ardore, ma furono ancora i Kurava ad avere la peggio: investiti da un'incontenibile ondata di frecce, altri fratelli di Duryodhana furono scaraventati al terreno, sanguinanti, senza vita. E il conto salì a quarantanove.
Ebbro di passione per quel voto che stava per essere assolto, Bhima lanciò nuovamente il suo grido di guerra.
Karna era disperato, aveva le lacrime agli occhi: tutti quei cari amici erano morti per aiutare lui, quando stava per essere sopraffatto. Non poteva stare a guardare, doveva fermare quella furia scatenata. E raddoppiò gli sforzi, ma ancora Bhima si difese bene.
Vedendolo combattere in quel modo, Arjuna, Krishna e Satyaki sorrisero a viso aperto: Bhima stava facendo miracoli, impegnando allo stremo il loro nemico più temuto e contemporaneamente sterminando i figli di Dritarashtra. Solo dopo una lunga battaglia Karna riuscì a vincere il duello, ma nel corso dei combattimenti Bhima era riuscito ad uccidere altri sette dei cento figli di Dritarashtra. Per uno solo ebbe parole pietose, Vikarna, suo amico e uomo equo.
"Io ho giurato solennemente di uccidervi tutti," gli disse, "e per questo dovrò privarti della vita, ma mi dispiace perchè so che sei un uomo giusto; tu sei ben differente da quel diavolo di Duryodhana."
E quando, dopo un aspro combattimento, Vikarna cadde ferito a morte, Bhima pianse sul suo corpo.
Pure, infine, Bhima fu vinto e ridotto all'impotenza da Karna. Ma questi gli risparmiò la vita, memore della promessa fatta a Kunti; ma lo insultò pesantemente.
Krishna osservava la scena, preoccupato.
"Arjuna, guarda," disse, "Karna ha sconfitto e offeso il tuo valoroso fratello. Devi correre da lui, devi aiutarlo."
Attaccato duramente da Arjuna, Karna preferì ritirarsi e Bhima potè saltare sul carro di Satyaki per riprendere le forze; e i tre maharatha, insieme, attaccarono i battaglioni guidati e difesi da Asvatthama e Karna. Frecce, lance, asce, coltelli, spade, pietre, dischi e centinaia di altre armi umane e celestiali furono visti guizzare in ogni direzione. Il risultato fu tremendo: il sangue e le membra mozzate divennero una visione solita.
Kurukshetra era diventata un immenso cimitero.
118
Bhurishrava
Dopo un pò che l'affaticatissimo Satyaki combatteva a fianco di Arjuna, fu affrontato da Bhurishrava.
Tra i due non correva buon sangue a causa di una rivalità di famiglia che risaliva a molti anni addietro, quando il nonno di Satyaki, Shini, era andato allo svayamvara in onore di Devaki e l'aveva rapita per darla in sposa al cugino Vasudeva. Somadatta, che desiderava sposare colei che sarebbe poi diventata la madre di Krishna, si era sentito offeso e danneggiato e aveva inseguito Shini per ucciderlo. I due avevano ingaggiato una furiosa battaglia durante la quale Somadatta aveva avuto la peggio. Nella concitazione Shini non aveva tenuto in considerazione il rango dell'avversario e lo aveva umiliato afferrandolo per i capelli e piantandogli il piede sul petto.
Da quel giorno erano trascorsi molti anni, ma Somadatta non aveva mai dimenticato l'insulto subito e si era impegnato in severe ascesi grazie alle quali aveva ottenuto un figlio che in futuro avrebbe vendicato l'offesa dacendo la stessa cosa a un discendente di Shini. Il figlio era Bhurishrava.
Ambedue erano perfettamente a conoscenza di quella vecchia storia e per molti anni non avevano desiderato altro che incontrarsi sul campo di battaglia.
Quando Bhurishrava gli si lanciò contro, Satyaki capì che quel momento era arrivato.
Dopo un combattimento tanto cruento da incutere paura persino ai più coraggiosi, il fortissimo Bhurishrava sfruttò a suo van-taggio il fatto che l'avversario fosse esausto e lo gettò in terra, facendogli perdere i sensi. Poi lo afferrò per i capelli e gli pose con forza il piede sul petto.
"Mio padre è vendicato," disse a voce alta, "oggi ho messo il piede sul petto di un discendente di Shini. Ma io non mi fermerò qui. Io farò più di quanto fece Shini: oggi stesso, in questo preciso momento, io ti ucciderò."
E sollevò la spada per decapitarlo.
Nel frattempo Krishna, che ben sapeva della vecchia rivalità e di quanto in quel momento Satyaki fosse stanco e Bhurishrava forte, per tutto lo svolgersi del duello non aveva perso di vista i due. Perciò quando il duello stava per giungere a quella drammatica conclusione, Krishna si rivolse ad Arjuna.
"Arjuna, guarda lì, il tuo amato discepolo Satyaki sta per essere sopraffatto da Bhurishrava. Sta per essere decapitato. Se non intervieni, perderemo il nostro più valoroso soldato e il più caro degli amici."
Arjuna era perplesso, non sapeva cosa fare: intervenire in quel frangente sarebbe stato un atto chiaramente sleale, contrario ai più elementari valori delle leggi che regolano il comportamento degli kshatriya; e in più il virtuoso Bhurishrava non meritava un tale insulto. Ma quando vide quella mano destra che impugnava una pesante spada sollevarsi contro l'amico oramai privo di sensi, gli venne in mente il figlio Abhimanyu massacrato nelle più sleali delle circostanze; pensò a Duryodhana, a Karna, a Shakuni, a Dusshasana e a Draupadi, a quante sofferenze avevano dovuto sopportare a causa di persone che avevano perso ogni senso della rettitudine. Perchè proprio lui doveva porsi tanti scrupoli, ora che uno dei suoi amici più cari era in pericolo di vita? E mentre Krishna gli gridava di fare presto, una freccia scaturì da Gandiva che andò a staccare di netto quel braccio minaccioso.
La spada e l'arto sanguinante caddero sul terreno. Un coro di disapprovazione salì dalle truppe Kurava.
"Come è possibile che un atto del genere sia stato perpetrato proprio da lui, il paladino del dharma? Vergogna, Arjuna: dopo aver visto ciò, chi seguirà più le leggi di Dio?"
Bhurishrava, mutilato, si girò per vedere chi fosse stato l'artefice di un atto così malvagio.
"Arjuna, sei stato tu?" disse poi, "è mai possibile? Non capisco cosa ti abbia spinto a fare ciò. Io ho lealmente sconfitto Satyaki in duello e ho il diritto di ucciderlo, e tu non puoi intervenire alle spalle di un avversario in procinto di colpire. Hai causato una grave breccia nel dharma. La gente comune segue l'esempio dei grandi uomini. Però se tu ti comporti in questo modo, quanti osserveranno ancora le leggi sacre che finora hanno governato la nostra vita? Non hai paura che l'empietà invada i nostri regni? Credimi, questa ferita non mi dà alcun dolore, ma è l'averti visto agire in modo peccaminoso che mi sta causando le più grandi sofferenze. Non dovevi farlo."
Gli astanti applaudirono quelle parole rette. Ma Arjuna lo guardò con occhi di fuoco.
"Tu che sai dire parole così giuste, dov'eri quando Abhimanyu fu ucciso a tradimento? e quando Duryodhana ha cercato di bruciarci vivi a Varanavata, perchè non sei intervenuto in nostra difesa e non hai dichiarato guerra ai Kurava in nome dei santi precetti del dharma? E poi ricordo che tu eri presente quando, dopo averci derubato di tutte le nostre proprietà con un vile trucco e facendo leva sulla rettitudine di Yudhisthira, i Kurava hanno oltraggiato nostra moglie; ma non ho sentito neanche una parola uscire dalla tua bocca, quel giorno. Hai dimenticato il momento in cui il vile Dusshasana ha cercato di spogliare Draupadi di fronte a tutti? Non hai parlato in tono indignato, allora, perchè non ti conveniva inimicarti il tuo più potente alleato. E giacchè non sei intervenuto in quei frangenti e in tanti altri, perchè ora chiacchieri tanto? No, tu oggi non hai diritto di dire nè di accusarmi di nulla."
A quel durissimo discorso, Bhurishrava chinò la testa e riflettè su ciò che aveva ascoltato. Poi, senza aggiungere altro, decise di abbandonare il proprio corpo. Così raccolse dell'erba kusha e la sistemò con attenzione sul terreno; poi, su quel cuscino sacro, si sedette assumendo la posizione del loto e iniziò a regolare il respiro e i pensieri. Così, attraverso la pratica dello yoga, Bhurishrava si preparava a lasciare questo mondo e i suoi drammi.
Ma un altro atto empio stava per concretizzarsi: Satyaki, stordito, sentendosi libero dalla stretta del nemico, si rialzò di scatto, afferrò da terra una spada e senza riflettere gli si avventò contro per ucciderlo.
A nulla valsero le grida di Arjuna che gli diceva di non farlo: con un colpo di spada tagliò la testa all'anziano eroe. Non fu un atto applaudito da nessuno, il suo.